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Il printemps érable: analisi di una vittoria studentesca

Posted By Gigi On October 7, 2012 @ 9:15 am In Articoli,Italiano | Comments Disabled

di LUCIO CASTRACANI e DAVIDE PULIZZOTTO

Dopo diversi mesi di lotta, il movimento studentesco canadese più imponente della storia ha vinto la sua battaglia, costringendo il partito liberale al potere a rassegnare le dimissioni e ad indire nuove elezioni. Così, la successiva vittoria del partito d’opposizione ha garantito l’emissione di un decreto legislativo che blocca l’aumento delle tasse universitarie previsto dal vecchio governo. Evviva, siamo pronti per i festeggiamenti: siamo meno indebitati.

O meglio, possiamo continuare ad aggrapparci al vecchio status quo. Forse è questa la principale ragione che ci porta a problematizzare le vittorie, e non soltanto le sconfitte. Facciamo qualche passo indietro. Qual era la situazione?

Il Québec non aveva fatto eccezione al resto dell’America del Nord, incamminandosi a partire dagli anni ’60, verso il modello dell’università-impresa. Sotto la scure della competizione internazionale, ben sottolineata dal sistema di ranking universitario, e del deficit zero con i conseguenti tagli alla spesa pubblica, compresa l’educazione, l’entrata del mondo degli affari nell’università è avvenuta quasi senza clamore. Così, come ci faceva notare un professore qui a Montreal, oggi sui 15 edifici che compongono l’Università di Montreal, ben sette portano il nome di donatori che provenivano da grandi corporation, come Mac Donald Tobacco, Télé-Métropole, Power Corporation o Seagrams. Ciò significa che, nonostante la provincia francofona vanti un sistema educativo molto più accessibile rispetto al mondo anglofono che la circonda, il sistema di indebitamento e il processo di mercificazione del sapere erano e restano delle condizioni strutturali profondamente impiantate.

Le printemps erable è sorto dall’ennesima stretta del governo verso tale modello, con un previsto aumento delle tasse universitarie del 75% in cinque anni, diventato durante il conflitto 78% in otto, ma ha una lunga gestazione, che va dal conflitto studentesco del 2005 al recente Occupy Montreal.

1. Genealogia: composizione Popolo/Moltitudine

Per capire a fondo le virtù e i limiti del printemps erable bisogna analizzarne la genealogia e le componenti organiche. Si noterà una differenza strutturale enorme rispetto alla composizione delle lotte studentesche italiane. L’opposizione Popolo/Moltitudine deve essere intesa, oltre che attraverso l’opposizione complementare Democrazia indiretta/Democrazia diretta, come schema per definire le diverse soggettivazioni in gioco di questa incredibile primavera di lotte.

Innanzitutto bisogna ricordare il movimento del 2005, che inventò il “carré rouge” (il quadrato rosso simbolo del movimento studentesco) e guadagnò una prima vittoria sui “prestiti d’onore”, preparando il terreno di lotta contro l’avanzata del neoliberismo. Anche “Occupy Montreal” ha avuto un’influenza diretta sul “printemps érable”. Il 15 ottobre avviò sia una critica al sistema della democrazia rappresentativa che un processo autonomo di messa in relazione di esperienze di vita e di lavoro precarie. Infatti la creatività delle acampadas di “Place du Peuple” si animava al suon di democrazia diretta, di riappropriazione degli spazi e dei saperi. Dopo un mese di iniziative varie, il gelo canadese mandò in letargo le tendopoli, ma non le relazioni moltitudinarie che emersero. Così, il 13 febbraio 2012 il movimento studentesco debuttò con la votazione dei primi “scioperi generali illimitati”, da cui inizieremo la nostra analisi.

Gli attori principali di questa prima fase sono le associazioni studentesche, che saranno però anche gli attanti-protagonisti del più rilevante e “mediatizzato” schema narrativo di questi sette mesi di lotta. In sostanza, i rappresentanti eletti dagli studenti all’interno delle associazioni saranno la base operativa mediatica delle rivendicazioni studentesche. Tutto ciò è reso possibile dall’architettura dell’organizzazione sociale e politica delle università del Québec.

Sulla falsa riga del modello anglofono, le associazioni universitarie rappresentano l’epicentro della vita studentesca. Ogni facoltà ha una sola associazione, l’unica legittimata ad indire le assemblee e a gestire le diverse istanze attraverso un codice giuridico e un sistema di votazione assai preciso. Ogni associazione può, in seguito, aderire ad una federazione di associazioni o ad una coalizione. Ognuna di esse ha, infine, un mandato più “politico”, e dei veri e propri rappresentanti eletti dalla varie associazioni aderenti. Qui in Québec ci sono due federazioni ed una coalizione: la Feuq, Fecq e la Classe. In parole povere, non esiste il collettivo o l’assemblea auto-organizzata. Non ci sono assemblee di interfacoltà o interuniversitarie autonome. Tutto è gestito in maniera strutturata e codificata dalla associazioni studentesche. Anche i militanti dei movimenti anarchici confluiscono nelle assemblee della propria facoltà per entrare nel vivo dei processi di mobilitazione. Senza andare troppo nel dettaglio, l’iper-regolamentazione della vita politica universitaria imposta dal sistema, sta alla base del printemps erable e, probabilmente, è stato anche il propulsore per raggiungere la vittoria.

Tra le varie federazioni, la Classe si distingue virtuosamente. Rifacendosi alla Charte de Grenoble del 1946, rivendica il sindacalismo studentesco e si impone in Québec come motore culturale e politico del movimento studentesco. È di fatto la coalizione più ampia e più radicale. All’interno della struttura, non ci sono leader, ma solo porta-parola che rispettano diligentemente il mandato imposto dalle assemblee di base. Nessuna riunione è valida fuori dal quadro assembleare. Ogni decisione deve essere ratificata nelle diverse associazioni di facoltà aderenti alla coalizione.

Nonostante il momento più efficace della partecipazione fosse il voto in assemblea, gli studenti non si sono limitati a tale constatazione, e hanno moltiplicato gli spazi del confronto e del dibattito attraverso forme di auto-organizzazione. È proprio grazie alla Classe che la soggettivazione moltitudinaria ha mantenuto la propria autonomia e, al contempo, è riuscita a raddoppiare la dose di energia necessaria per un movimento così forte. Lo spazio autonomo della mobilitazione non è mai stato calpestato o limitato dalla Coalizione. L’esperienza politica studentesca autonoma si viveva quindi attraverso la libera partecipazione, la libera circolazione delle idee e delle esperienze, la libera iniziativa e il libero associazionismo.

In questo contesto, è stato il supporto culturale, ideologico, tattico del movimento anarchico di Montreal a intensificare e sviluppare la lotta. Quest’ultimo ha avuto un ruolo fondamentale per la tenuta del printemps érable, riuscendo a radicalizzare alcune posizioni, rivendicazioni e anche diverse manifestazioni, rendendo di fatto più efficace ed interessante la lotta. Paragonabili al nostro movimento autonomo, anche se non coincidenti con esso, le espressioni anarchiche e libertarie nord-americane fanno parte di un mondo assai complesso e variegato, in cui confluiscono differenti correnti, rivendicazioni, dibattiti. I loro maggiori punti in comune sono l’anticapitalismo, l’antimperialismo, l’antifascismo, l’antistatalismo e pratiche varie di auto-organizzazione, spesso molto innovative e creative. Tutto si lega coerentemente ad una profonda critica della società contemporanea e a diverse azioni e iniziative comuni. Molti militanti sono marcati anche da esperienze comuni negative, tra cui la dura repressione del meeting del G-20 di Toronto nel 2010. Il movimento studentesco è stata l’occasione del riscatto dopo una lunga crisi e il banco di prova per una lotta al capitalismo ben più larga.

Infine, la partecipazione delle famiglie e dei cittadini ci ha permesso di guardare il movimento come una forza trasversale, in grado di farsi portavoce di un malcontento generalizzato contro le politiche del governo Charest, che era al potere da circa dieci anni. I “carré rouge” si vedevano al petto di studenti, ma anche di anziani, lavoratori, migranti. Il dibattito era quotidianamente veicolato da questa simbologia, che straripava di giorno in giorno e che portava il movimento a spasso per la città, in ogni dove e in qualsiasi momento.

2. L’Attorializzazione del movimento 

L’elemento semiologicamente più importante di questa vittoria è il riconoscimento del movimento come attore politico autorevole, sia da parte delle forze istituzionali che dai media mainstreaming. Nonostante i ripetuti attacchi delegittimanti e il tentativo di criminalizzarlo, è impossibile negare che gli studenti siano riusciti ad imporre la propria agenda politica tanto a livello provinciale (Québec) che nazionale (Canada). Dal 13 febbraio al 7 settembre, lo sciopero generale illimitato indetto dalle associazioni di facoltà è stato la principale preoccupazione di tutte le parti politiche parlamentari e dei vari organi di informazione. Questo è, nel bene e nel male, lo strumento di lotta principale che ha portato alla vittoria studentesca.

Potremmo anche dire, all’inverso, che il Premier Charest ha perso il potere nel momento in cui si è lasciato coinvolgere dal dibattito scatenato dagli studenti. Cioè nel momento in cui l’ha riconosciuto come attante legittimo del testo politico in corso di attualizzazione, ma ciò era inevitabile. Nel contesto culturale e politico del Québec, non sarebbe potuto esistere un governo che facesse orecchie da mercante di fronte ad una percentuale così alta di Cegep (equivalenti ai college americani, preparano l’entrata all’università) e facoltà in sciopero. Non sarebbe ritenuto responsabile un atteggiamento di quel tipo, per ragioni politiche e civiche. Ciò non vuol dire che il sistema politico rappresentativo sia privo di ogni corruzione, anche morale. I colpi bassi ci sono pure qui; ma non si respira l’aria di impunità a cui il ventennio breve italiano ci ha abituato. Tuttavia, alle responsabilità morali si aggiungono altri elementi sistemici che, nel complesso, hanno concorso all’emergenza del discorso studentesco. Quali?

Lo sciopero illimitato indetto dalle associazioni ha delle conseguenze economiche, giuridiche e sociali imprescindibili. Innanzitutto si impone all’amministrazione delle università il riconoscimento dello sciopero e la gestione di eventuali sospensioni, rinvii o annullamenti di sessione. Questi, a loro volta, hanno effetti sull’economia delle università, rallentando le iscrizioni o annullando interi pagamenti di sessione. Dal momento in cui in cui si vota la “grève générale illimitée” si sospende automaticamente il sistema di valutazione e di accreditamento e si bloccano intere sessioni universitarie. Ciò vale anche per gli scioperi votati nei licei, che moltiplicano la crisi in maniera esponenziale. Le conseguenze sono devastanti e palpabili sin dall’inizio. Insomma, è come se in Italia la mobilitazione iniziasse alla vigilia della sessione d’esami, registrasse un’ampia partecipazione dei professori e delle famiglie e bloccasse illimitatamente verbali e libretti universitari.

Questo gioco delle parti tra associazioni studentesche, amministrazioni universitarie, sindacati e convenzioni collettive ha reso pregnante l’agenda politica imposta dal movimento. Ma è soprattutto il sistema universitario, impostato su una valutazione complessa degli studenti, che rende la mobilitazione una “cosa seria”. Se l’intera struttura universitaria fosse ricaduta completamente sull’unico momento dell’esame, come in Italia, sarebbero venuti a mancare una serie di componenti strutturali, minando le basi del movimento e il suo riconoscimento come attore politico, che ha rappresentato quella marcia in più per una vittoria tutt’altro che scontata.

3. Nazionalismo come risorsa politica

Il sentimento di sovranità nazionale, espressione e prodotto della comunità linguistica francofona, ha una pregnanza rilevante e non trascurabile all’interno del dibattito politico istituzionale del Québec. Ma è stato anche un fattore politico imprescindibile del movimento studentesco. Non sono mancate, in questa sfera d’influenza, i tentativi di commistione. Dal momento in cui il Partito Québecois, principale partito sovranista della provincia, ha compreso le dimensioni enormi che il movimento stava assumendo, ha cercato di assumerne il controllo, trasformando la resistenza moltitudinaria, in una causa del popolo québecois. L’esempio lampante è la candidatura alle elezioni, poi risultata vincente, di uno dei porta-parola del movimento, il ventenne Léo Bureau-Blouin, appartenente alla federazione studentesca più moderata del movimento.

La componente nazionale progressista, però, non trova le sue radici nel vincitore delle elezioni, il Partito Québecois, che in passato proprio con l’attuale Presidente Pauline Marois al Ministero dell’Educazione aveva contribuito allo smantellamento dell’educazione pubblica, ma piuttosto nel manifesto per un Québec Solidare, firmato nel 2005. Sulla base di tale manifesto si è poi dato vita nel 2006 al partito Québec Solidaire, la principale forza istituzionale ad aver preso una netta posizione per il movimento, pagandone anche le conseguenze con l’arresto dell’unico membro del partito in parlamento, Amir Kadir. Tuttavia, se questi ultimi sarebbero confluiti nel movimento anche per motivi ideologici diversi, il Partito Québecois, invece, ha imperniato la propria opposizione a Charest sulla questione nazionale, trovando manforte anche nei discorsi e nei simboli studenteschi. Il nazionalismo québecois, in relazione al movimento studentesco, non dev’essere quindi considerato come un apparato ideologico calato dall’alto dal Partito Québecois sulla moltitudine in lotta; esso è piuttosto una risorsa simbolica alla quale hanno attinto diverse forze in campo, come una sorta di immaginario comune riconfortante. Portiamo un esempio concreto. Il 7 aprile viene indetta una manifestazione/evento di 12 ore, denominata “NOUS?”, al teatro “Monumento Nazionale”, durante la quale artisti, accademici e politologi sono chiamati a leggere degli interventi per riflettere sul concetto di democrazia nel Québec odierno e, pochi giorni dopo, viene proclamata una manifestazione per la “primavera québecoise”, che farà scendere in strada intere famiglie, mentre il richiamo storico alla direzione indicata dai padri della rivoluzione tranquilla degli anni ’60, diventa sempre più ricorrente.

La connotazione nazionale del movimento, a ben vedere, ha influito sul dibattito, legandosi ad altri eventi moltiplicatori, come il varo della legge 78, che aveva limitato il diritto di manifestare, proclamando lo stato di eccezione. Più in generale, dagli inizi dello sciopero fino al mese di maggio, vi è stato un graduale scivolamento dai temi economici, come ad esempio l’autofinanziamento dell’università e la questione del debito studentesco, sui quali si discuteva freddamente mediante l’uso di statistiche ed analisi socio-economiche, a temi che surriscaldavano l’uditorio come la violenza della polizia e dei manifestanti, oppure l’erosione dei valori democratici. Le passioni politiche da un lato hanno coinvolto un numero sempre maggiore di studenti, lavoratori, pensionati, allargando anche le ragioni della protesta e favorendo lo sviluppo della dimensione nazionalista, dall’altro hanno fatto passare in secondo piano la causa del debito studentesco, insieme ad altre più importanti rivendicazioni.

L’immaginario della nazione porta con sé la questione della comunità e dei confini. C’è sempre un discorso egemonico che tende a costruire delle barriere. Qui a Montreal, il conflitto dell’inclusione/esclusione alla comunità si interpone tra la comunità francofona e quelle anglofona. Se la coscienza internazionalista della Classe era ben evidente, anche dal loro programma, l’opposizione alla comunità anglofona rientrava nel senso comune della componente francofona bianca. Spesso i primi sono accusati di assecondare il discorso neoliberale e conservatore e si vedono minimizzare esperienze di lotta importanti, come quella di Cutv, una tv dell’Università Concordia che ha seguito passo dopo passo le centinaia di manifestazioni notturne, rendendo visibili le violenze poliziesche e gli abusi di potere.

Rimane da chiedersi se la componente nazionale sia stato il collante di un’ipotetica ricomposizione delle lotte. La risposta è negativa. Da un lato perché una ricomposizione non c’è mai stata. Dall’altro perché non ci sono neanche le prospettive affinché ciò avvenga, dato che l’ideologia nazionalista in Québec non è espressione della maggior parte degli oppressi. L’esperienza che più ci sentiamo di condividere è una resistenza che vada al di là delle piccole patrie, per la creazione di forme di resistenza glocalizzate, pur consapevoli che la forza simbolica del nazionalismo possa dare spazio a nuove “albe dorate”.

Conclusioni

La continua tensione tra una semiotica politica del popolo e una semiotica politica della moltitudine è alla base della vittoria del movimento studentesco, ma è anche il suo limite maggiore. L’aumento delle tasse è soltanto una delle sfaccettature dell’avanzata del neoliberalismo. Ciò nonostante, le rivendicazioni degli studenti si sono raramente allontanate dalla problematica tasse. Le ragioni di tale limitazione sono complesse, ma in generale si possono imputare alla composizione strutturale del movimento (organizzazione sindacale) e alla necessità di semplificare il dibattito per raccogliere consensi. Eppure negli stessi mesi, vi è stato un tentativo di estendere la protesta, grazie soprattutto ai gruppi anarchici che hanno tentato di inglobare nel movimento le lotte dei lavoratori e quelle contro la privatizzazione delle risorse naturali previste dal Plan Nord. Prendendo anche in considerazione il divieto allo sciopero imposto dalla legge a molte categorie di lavoratori, il movimento studentesco allorché si declinava come moltitudine, ha assunto davvero un ruolo di primo piano diventando portavoce di diverse forme di sfruttamento presenti oggi in Québec.

Sulla scia del movimento, non sono mancate pratiche del comune interessanti. In particolare pensiamo alle assemblee di quartiere, e allo sviluppo del movimento delle casseroles[1]. Le assemblee di quartiere hanno preso forma sul modello di Occupy, con dibattiti orizzontali e presa di parola diretta, affrontando problematiche che andavano al di là dell’aumento delle tasse.

Il movimento studentesco è stato per mesi una miccia per un’esplosione sociale dando vita a diversi laboratori politici, anche se, oggi, non possiamo lasciarci trascinare dall’euforia. Così come hanno preso vita rapidamente diverse pratiche del comune, così velocemente possono terminare. Un campanello d’allarme è stata sicuramente la fallimentare manifestazione del 22 settembre. Quel giorno era dedicato ad un altro elemento del dibattito, che portava con sé una critica più radicale al sistema, ovvero la “gratuité scolaire”. Ebbene proprio lì, pare che il movimento abbia trovato una dura battuta di arresto. Inoltre, le mailing-list arrestano il loro naturale brulicare, le assemblee si svuotano e cambiano i contenuti, i “carrés rouges” diminuiscono, l’attività politica dal basso torna a rinchiudersi nei gruppi anarchici, che quotidianamente vessati dalle forze dell’ordine, assumono le sembianze di “ghetti politici”. Si è passati da una ricca riflessione politica dei mesi scorsi all’attuale “normale amministrazione”.

Accanto ai campanelli d’allarme, non mancano avvenimenti che ci lasciano ben sperare. Diverse associazioni hanno votato uno sciopero dal 14 al 21 novembre per esprimere la loro adesione al movimento studentesco internazionale. In generale, ci sono due scenari possibili. Da un lato, vi è il rischio di ritornare alla banalità del quotidiano, rendendo il decreto contro l’aumento delle tasse un “vaccino” contro le pratiche del comune nate in questi mesi; dall’altro, il movimento québecois, che ha fatto da “sponda” ad altri movimenti, come quello messicano, potrebbe beneficiare a sua volta del clima internazionale di lotta, e trasformare i laboratori del comune in pratiche consolidate.

In conclusione, la vittoria non arriva mai senza perdite. Ma bisogna anche valutare se vale la pena vincere. In questo momento è chiaro che lo schiacciamento dei contenuti delle rivendicazioni (aumento tasse) e le pratiche che lo hanno reso possibile (vertenze sindacali), rappresentano il maggior ostacolo allo sviluppo e al mantenimento delle soggettività emerse dalle esperienze sul comune. È il risultato di un far politica che ha attinto dal comune, senza però riconoscerlo come istituzione moltitudinaria. Il movimento ha peccato di riconoscenza. Inoltre, le strutture delle associazioni studentesche, assieme a gruppi anarchici già esistenti, sono rimasti gli unici spazi di confronto del movimento, che non ha dato vita a nessun altro tipo di coagulazione di relazioni. Il ruolo delle pratiche di occupazione e dei centri sociali, che in Italia è consolidato da decenni, qui non esiste e fa sentire la sua mancanza. Come fare esperienza del comune senza una nuova riappropriazione degli spazi? Come raggrumare le esperienze del perturbante senza far proliferare spazi autogestiti? Queste domande non potranno trovare risposta in questo articolo, rappresentando di fatto le nuove sfide di un movimento che rischia di sfaldarsi ancor prima di aver preso consapevolezza della propria potenzialità.



[1] Si tratta di un assembramento spontaneo di persone che batteva sulle loro pentole per esprimere il fermo rifiuto alla legge78, legge che limitava il diritto di manifestare ed impediva lo sciopero.


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