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Appunti urgenti sulla situazione spagnola

 

di RAÚL SÁNCHEZ CEDILLO

1. Si sta compiendo, a grandi tratti, il copione scritto e immaginato poco tempo fa. Come ci si aspettava, la Spagna si trova in questi giorni sulla soglia del default vero e proprio. È la fine del governo Rajoy, ma anche di ogni dialettica interna al sistema dei partiti nato nella transizione post-franchista. Resta la devastazione sociale che stanno provocando i successivi tagli (“reformas”) messi in opera a cominciare dal 10 maggio 2010 dal governo Zapatero, quando lo spread coi titoli tedeschi era sotto i 200 punti. 

2. Siamo quindi davanti ad un passagio epocale della crisi europea. Il default spagnolo (e forse quindi anche quello italiano) segna la fine della sostenibilità della austerity come linea dominante nella governance della crisi dalla UE, ma spalanca senza veli la situazione di vita o morte per l’euro, ma anche per il progetto dell’UE. Incipit tragoedia.

3. Da gennaio, mese in cui il governo Rajoy ha assunto davvero le cariche di governo, i conflitti sociali e politici non hanno fatto che aumentare, in un crescendo che ci porta, oggi, ad una situazione di piena ingovernabilità, che, dopo il default, non potrà che essere esplosiva, insurrezionale. Ma possiamo tracciare diverse fasi di questo processo. Una prima fase, fino allo sciopero generale del 29 marzo indetto dai due sindacati principali, UGT e Comisiones Obreras, è stata segnata dalla cosidetta tregua nei mercati di titoli di Stato dopo gli interventi puntuali della BCE. Gli attori principali di questa fase sono stati le singolarità che si riconoscono nel 15M, prima di tutto la lotta contro gli sfratti, condotta dalle differenti Plataformas de afectados por la hipoteca (PAH)[1] insieme al movimento assembleare contro i tagli all’educazione pubblica, Soy Pública[2]. Il punto culminante di questa fase è stata la lotta condotta dagli studenti del liceo pubblico Luis Vives di Valencia e poi generalizzatasi nelle principali città della Spagna, cioè, la cosidetta “primavera valenciana”[3]. Il 29 febbraio il governo Rajoy decreta la reforma laboral, mettendo fine ai contratti collettivi ed istaurando il libero licenziamento completamente in mano ai padroni quasi senza tutela giudiziaria[4]. Il downhill del governo Rajoy è cominciato. I due grandi sindacati organizzano lo sciopero generale per il 29 marzo. La seconda fase che si apre con l’entrata in scena dei sindacati vede questi cercando, per così dire, di “salvare capra e cavoli”, cioè, di fare una dimostrazione di forza di fronte al governo, di affermare il suo ruolo predominante nel conflitto sociale di fronte al 15M, ma allo stesso tempo di non rischiare troppo, di non bruciare i ponti, di praticare l’attendismo in vista di una (improbabile) congiuntura spagnola ed europea meno sfavorevole. L’esito dello sciopero generale è stato quello di un espediente, di una sorta di prova di soppravivenza, cioè, in un certo senso un fallimento. Nonostante questo, le manifestazioni sono state salvate dalla partecipazione delle assemblee e reti del 15M, nonché dei sindacati alternativi. All’interno di questa stessa sequenza, le giornate del 12-15 maggio hanno lasciato un sapore agrodolce: al di là dell’insucceso della mobilitazione globale del 12M, queste giornate hanno messo in evidenza la tenuta del 15M, ma anche grossi sintomi di crisi sia della sua capacità di espansione sociale trasversale (nonostante i numeri nelle manifestazioni) che della sua capacità di innovazione del repertorio di mobilitazione nonché di quello organizzativo ed strategico. Pochi giorni prima del 15M è scoppiata pubblicamente la crisi interna di Democracia Real Ya (DRY), cioè, di una delle reti fondamentali all’origine del 15M, dopo una sua incubazione che praticamente ha paralizzato la piattaforma durante mesi[5] e che oggi come oggi è lungi dall’essersi risolta. Non bisogna dimenticare l’impatto che ha avuto sul movimento la represione poliziesca dei governi di destra, sia quello del PP nel governo centrale (in particolare a Madrid) che quello catalano di CiU (pionero con la violenza contra gli acampados di Plaça Catalunya il 27 maggio 2011). Nel caso catalano, processi a scopo politico, “teoremi” e brutalità poliziesca hanno tentato di ridimensionare e dividere il movimento. Nel caso madrileno, hanno tentato di imporre il divieto di manifestazione attraverso la repressione diretta e la dissuasione attraverso le multe amministrative di 300 €. L’enfasi sulle tematiche antirepressive ha contribuito conseguentemente all’impasse del 15M in questa fase. Una terza fase, ancora in corso e segnata da una accelerazione imprevedibile, è cominciata con la scesa in piazza dei settori “garantiti” della composizione sociale del lavoro, in primo luogo, anche se minoritari, le comunità dei minatori, fondamentalmente delle zone minerarie di Asturias e León. La fine dei finanziamenti pubblici del settore ha dato un colpo di grazia al settore e provocato una risposta complessiva di tutta la comunità operaia, sindacale e familiare. Di fronte alla fine della loro forma di lavoro e di vita, hanno messo in opera tutto il repertorio della lotta radicale e della violenza operaia: dalle occupazioni delle miniere allo scontro diretto contro la Guardia Civil nei paesi dei minatori. Lo scorso 11 di luglio, la marcha negra che era stata organizzata in colonne provenenti dalle regioni minerarie è arrivata a Madrid, accompagnata da un enorme corteo nel quale, insieme alle composizioni del 15M, si è potuto vedere, dopo molto tempo, tutta la variegata espressione e tradizione della sinistra e della estrema sinistra spagnola. Come olio e acqua, si potrebbe dire, ma è stato così. La marcha negra è arrivata a Madrid proprio lo stesso giorno in cui il governo Rajoy ha reso pubblica la sua manovra fiscale che porta un attacco senza precedenti ai funzionari ed impiegati pubblici, ai disocuppati di lunga durata, ai giovani che ricevono il redditto di sostegno all’affitto. L’obiettivo è il risparmio dei 65 miliardi di euro, non a caso corrispondenti ai 62 miliardi che verrebbero versati alle banche zombi spagnole così come viene stipulato dal Memorandum of understanding tra la Troika ed il governo Rajoy[6]. L’aria di vecchio socialismo operaio redivivo espressa dalla marcha minera non è stata niente per la capacità di sorpresa dell’osservatore indignato di fronte alla rivolta autoorganizzata degli impiegati e dei funzionari pubblici scoppiata il giorno dopo l’annuncio delle misure del governo. Il volto sociale della stabilità, dell’ordine, della paura corporativa si è espresso all’improvviso in piazza riprendendosi il repertorio del 15M: sciami organizzati attraverso le reti sociali; blocchi stradali e cortei illegali alla ricerca di sedi del governo e dei partiti, scontri con la polizia. Indignazione e rabbia collettiva. Ma questo non è tutto: anche poliziotti e guardias civiles sono scesi in piazza nei blocchi autoorganizzati che si sono susseguiti dopo il 12 luglio. La domenica 15 luglio c’è stata la prima prova di questo contagio con il corteo illegale: circola l’idea di acampar davanti al Parlamento. Molti testimoni del 15 hanno parlato di una percezione completamente nuova, inassegnabile, estranea, inquietante anche per molti. Migliaia di persone, tra i quali tanti poliziotti in borghese, vigili del fuoco in divisa, funzionari ed impiegati pubblici e non pochi attivisti del 15M hanno dato vita a un corteo che ha attraversato illegalmente il centro della città, arrivando anche alla sede del PP per ritornare poi davanti al Parlamento. Alla fine non c’è stata acampada, nonostante qualche tentativo. L’idea era quella di contare sulla passività dei poliziotti che proteggevano il Parlamento, ma nonostante qualche gesto, non c’è stata disobbedienza[7]. La reazione sindacale è stata immediata e una giornata di protesta nelle principali città della Spagna è stata organizzata per il 19 luglio: si è trattato probabilmente della giornata più partecipata degli ultimi anni, che ha mescolato le composizioni del 15M con quelle dei sindacati e quelle mai visti di funzionari ed impiegati pubblici anonimi[8].

4. Le giornate dal 11 al 19 luglio hanno segnato la fine irrimediabile e prossima del governo Rajoy. Ma non solo. La percezione della putrescenza del regime nato nel 1978 non è più soltanto in bocca alle voci del 15M, ma è passata attraverso la composizione sociale fino a convincere una maggioranza sociale. Anche parte della destra intellettuale e giornalistica ha già espresso questa convinzione e questo timore. Il quadro che si presenta è quindi estremamente aperto ma non privo di grossi pericoli. Ci mancherebbe, circolano già rumori ed ipotesi di governo tecnico, di governo di unità nazionale, e via di questo passo. Ipotesi fallimentari e completamente illegittime, che non faranno che accelerare la scomposizione del regime costituzionale, sopratutto in un quadro di default e di tentativo di intervento totale della Troika.

5. Come valutare a caldo questa situazione? Da un lato, si può dire che il 15M ha vinto in un senso biopolitico, cioè, è stato capace di contagiare il mainstream sociale, non in maniera diretta, organizzativa, istituzionale, ma agendo piuttosto sulle azioni possibili degli altri, comunicando e trasferendo affetti, emozioni, linguaggi e mondi possibili. Ma allo stesso tempo il 15M è lungi dall’essere in grado di raccogliere attorno a sé la nuova composizione emersa. In parte perchè i due grandi sindacati, ma anche quelli dei funzionari (inclusi i poliziotti) hanno ripreso l’iniziativa e cercano di costruire un fronte sociale e politico sotto il suo controllo per il prossimo autunno attorno alla rivendicazione di un referendum sui tagli, con una manifestazione prevista per il 15 settembre. Dall’altro perchè gli agenti di enunciazione e di proposta mutano e si ricompongono: circola già, senza che nessuno sappia bene come sia nata e ricevendo sempre più consensi, la proposta “Ocupa el Congreso”, cioè, la proposto di un presidio permanente di tutti i cittadini davanti al Parlamento per chiedere la sua dissoluzione e l’inizio di un processo costituente sulla base di un programma minimo di rescate ciudadano[9]. Ma vi si presenta anche il problema dei nazionalismi, sopratutto basco e catalano, che non perderanno l’opportunità di sfruttare in termini sovranisti la crisi del regime costituzionale, in reazione al quale una parte della destra sta già portando avanti una iniziativa di riforma costituzionale in senso centralista e spagnolista.

Sembra piuttosto che siamo davanti ad una mutazione complessiva della situazione, ad una urgenza e una accelerazione del processo di isolamento dello Stato rispetto ai cittadini e quindi a una crisi irresolubile fuori di una ipotesi di rivoluzione democratica. Il dramma è il terribile isolamento nazionale in cui vivono le situazioni del sud dell’Europa e la mancanza di un sistema di lotte e di proposte costituenti transeuropeo o perlomeno sudeuropeo. Ma intanto, sembra che la politica del 99% abbia fatto qualche prova generale in Spagna.


 


[1] http://afectadosporlahipoteca.wordpress.com/

[2] http://soypublica.wordpress.com/

[3] http://es.wikipedia.org/wiki/Primavera_valenciana

[4] http://es.wikipedia.org/wiki/Reforma_laboral_en_Espa%C3%B1a_en_2012

[5] Sulla crisi di DRY, si veda http://wiki.occupy.net/wiki/Conflicto

[6] Si veda http://madrilonia.org/2012/07/el-memorandum-del-rescate-bancario-en-91-puntos/

[7] Si veda, ad esempio, http://youtu.be/Ofg_5ijdenM e http://fotograccion.org/wp/2012/07/fotos-manifestacion-funcionarios-15-de-julio-en-madrid/

[8] Si veda http://www.eldiario.es/zonacritica/2012/07/23/19j-la-pelicula/ e http://madrilonia.org/2012/07/teoria-y-practica-de-un-contagio-o-de-como-los-funcionarios-y-el-15m-empiezan-a-mezclarse/

[9] Si veda http://www.facebook.com/events/355184007883632/

 

 

 

 

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