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L’elogio reazionario della rude razza pagana

Posted By Gigi On September 11, 2012 @ 2:59 pm In Articoli,Italiano | Comments Disabled

di BENEDETTO VECCHI

Non è mai troppo tardi. É la frase che si è fatta strada mentre il click del mouse cercava di rintracciare notizie su quanto accadeva al corteo e poi al presidio degli operai dell’Alcoa. Nella mattina di ieri erano sfilati per la strade di Roma cercando di sfuggire all’accerchiamento approntato dalla questura. E mentre scorrevano le foto di manganelli che calavano sulle loro teste, Francesco Merlo, in un commento audio sul sito di Repubblica, tesseva le lodi della rude razza pagana. Non è mai troppo tardi, dunque, per scoprire i dispositivi dello sfruttamento che la crisi mette in evidenza nella loro violenza. Ma poi, il click del mouse si è interrotto. Quella di Francesco Merlo, firma autorevole e di punta del quotidiano diretto da Ezio Mauro, altro non è, infatti, che la versione reazionaria della trontiana rude razza pagana. Nel suo commento audio, Merlo mette l’operaio sull’altare in quanto vittima, senza possibilità di riscatto. Dopo aver percorso la via crucis della ristrutturazione dell’Alcoa, dopo aver avuto rassicurazioni che una soluzione sarebbe stata trovata, il martire, lo straniero, insomma l’operaio elogiato dall’editorialista di Repubblica viene mostrato nella sua nuda vita, cioè come un corpo predisposto al lavoro. Venuto meno il lavoro, rimane un corpo ferito, mutilato, una vittima da incensare.

Sia ben chiaro, di commenti come quello di Merlo ne incontreremo molti nei prossimi mesi. Sarà versato molto inchiostro e spese molte parole per rendere omaggio alle vittime della crisi. L’operaio che si incatena, che si suicida, che si mette un passamontagna perché quel volto oscurato rappresenta una condizione generale di tutto il lavoro vivo sarà appunto indicato come un eroe sconfitto al quale va fatto l’onore delle armi.

Dietro, però, le parole di Merlo c’è ben altro. L’operaio del Sulcis o dell’Alcoa va ricordato perché è altro dai volti “truci” degli indignati e di Occupy che a Piazza del Popolo e a Piazza San Giovanni, mesi or sono, su quell’altare sacrificale del neoliberismo non hanno voluto salirci. La rude razza pagana è dunque uno straniero che deve rimanere relegato nella sua isola a leccarsi le ferite in attesa che l’economia riprenda normalmente il suo corso.

Questo mix tra la versione mondana e volgare dell’operaio di Ernst Jünger e la cattolica retorica sul martirio raggiunge il suo apice tossico quando Merlo fa l’elogio dell’industria ottocentesca. Viene anche citato Stendhal, ricordando l’insofferenza verso la modernità dello scrittore francese, propedeutica al ricordo di un mondo perduto dove i rapporti di sfruttamento erano cristallini. L’operaio faticava come un animale, veniva pagato una miseria e accanto a sé, spesso, aveva i figli. Poi c’erano i padroni, che non esitavano a far sparare su quegli operai se protestavano. L’evocazione della bellezza dell’industria ottocentesca è maldestra, basterebbe ricordare le inchieste governative inglesi sulla condizione operaia nelle prime fabbriche oppure il cane maledetto di Engels della situazione della classe operaia inglese o la condizione operaia di Simone Weil, ma Merlo non è interessato alla storia, lui vuole solo sostenere che per uscire dalla crisi bisogna ripristinare le normali gerarchie e i rapporti di sfruttamento dei bei tempi passati. L’elogio dell’operaio serve cioè a ripristinarli, epurando la rude razza pagana da ogni contaminazione con altre figure del lavoro vivo. Via gli scansafatiche, i precari per poter coltivare il culto della civiltà del lavoro sfruttato. Come se anche il lavoro operaio non fosse diventato precario e intermittente al pari di altre figure lavorative.

Le fotografie degli operai dell’Alcoa esprimono tutto il dolore di chi ha sperimentato la radicalità della crisi economica. A loro, come a molti altri, il futuro è precluso. Ma ogni tentazione di ritorno al passato va respinta. Quella prospettata da Merlo è reazionaria, nel senso letterale della parola. Più cautamente e con modestia va invece affermato che il futuro è a portata di mano, che non bisogna per forza salire sul Golgota della crisi capitalistica per vedere riconosciuta un’identità da spendere poi al mercato della sfiga. La fotografia dell’Alcoa è in movimento, ma Francesco Merlo la vuole usare solo come arma di distruzione dei movimenti sociali.


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