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Il movimento indigeno in Ecuador ai tempi di Rafael Correa – dialogo con Humberto Cholango e Luis Macas della CONAIE

 

a cura di ISABELLA GIUNTA

La CONAIE – Confederazione delle nazionalità Indigene dell’Ecuador – fin dalla sua costituzione alla fine degli anni ’80 ha svolto un ruolo cruciale nelle lotte indigene ed  in generale nelle mobilitazioni sociali che hanno attraversato l’Ecuador, in particolare negli anni ’90 e durante la prima decada del duemila. Il protagonismo sociale di questa storica organizzazione è ampiamente riconosciuto a livello nazionale ed internazionale, sebbene nell’ultimo decennio abbia attraversato alcune crisi e sofferto un certo ridimensionamento della capacità d’azione diretta, riconducibile tanto a dinamiche interne quanto esterne. Le prime gravitano intorno  alla necessità di ridefinire la propria identità ed agenda politica, compreso il ritrovare modi e strategie d’azione che permettano l’articolazione con il resto dei movimenti sociali ed  evitino un ripiegamento verso una dimensione esclusivamente etnica.

Per quanto riguarda le dinamiche esterne si tratta di dover fronteggiare un “fuori” che si materializza, e va progressivamente riconfigurandosi, in complesse sfide di r-esistenza condivise in generale dai movimenti sociali del paese. Tensioni legate a cangianti contesti sociali e politici, riassumibili sommariamente in una fase di aggravamento delle politiche neo-liberiste e della dipendenza (fino al 2006) seguita da un’epoca che molti definiscono “post-neo-liberista” per essere caratterizzata da significativi processi di ristatalizzazione “neo-sviluppista” e di promozione della ridistribuzione della ricchezza attraverso un aumento della spesa sociale (a partire dalla presidenza di Rafael Correa, iniziata nel 2007, ad oggi).

Un passaggio cruciale per la CONAIE è rappresentato probabilmente dalla rottura, nel luglio 2003, dell’alleanza tra il movimento indigeno e Lucio Gutierrez[1] e dalla successiva frattura all’interno del “Movimiento de Unidad Plurinacional Pachakutik-Nuevo País”, entità costituita nel 1995 dalla CONAIE, assieme ad altri settori sociali, come strumento di partecipazione agli spazi politico-elettorali locali e nazionali.

Tuttavia, dal 2003 ad oggi, la CONAIE ha promosso e partecipato ad importanti mobilitazioni sociali, come, per citarne alcune, la campagna di resistenza al TLC (Trattato di Libero Commercio) in negoziazione con gli USA o il ciclo di iniziative – portate avanti assieme ad altri attori sociali- dirette ad influire sull’Assemblea Costituente di Montecristi del 2007-2008. Passaggio di notevole effervescenza, produttore di una costituzione formale innovatrice che include, tra le altre questioni, la proposta del Buon Vivere: in opposizione alla concezione coloniale dello sviluppo è indicata una transizione verso un’economia sociale, popolare e solidale insieme con un sistema sociale basato sulla sovranità alimentare, la difesa dei diritti della natura e la plurinazionalità dello Stato. 

Non è questa la sede per sviluppare un’analisi intorno ai gap esistenti fra, da un lato, l’orizzonte di transizione radicale tracciato dalla Costituzione del 2008 e dall’altro la costituzione materiale ecuadoriana e le concrete dinamiche portate avanti dal governo “progressista” di Rafael Correa nel periodo post-costituente [2].

Vale la pena però sottolineare la necessità di una costante riflessione critica intorno alla relazione tra movimenti e “pubblico” per la comprensione dello stato dell’arte e delle prospettive e potenzialità che attraversano e caratterizzano un governo “progressista” come quello ecuadoriano contemporaneo. Alla ricerca di un’approssimazione sul perché le forze sociali che hanno generato le condizioni di possibilità dei rilevanti processi di cambiamento in corso, attraverso le loro mobilitazioni destituenti e la produzione creativa a favore di un’agenda post-neo-liberista, non siano oggi protagoniste indiscusse di tali sfide di mutamento. Tra tali realtà vi è la CONAIE, che occupa senza dubbio un ruolo fondante.

Il connaturale succedersi di alti e bassi nella capacità organizzativa e di azione politica di soggettività sociali come la CONAIE così come il progressivo e sempre maggiore distanziamento verificatosi tra quest’organizzazione e il governo di Rafael Correa – distacco marcato, ormai da tempo, attraverso permanenti e reciproche  delegittimazioni nonché da casi di persecuzione di dirigenze indigene fino al più recente configurarsi di una candidatura presidenziale alternativa a quella dell’attuale presidente[3]- non giustificano affatto l’invisibilizzazione e la marginalizzazione delle lotte, del protagonismo sociale e dell’agenda politica di cui questa organizzazione è portatrice.

Quella della CONAIE è una storia di battaglie sociali, dell’agire di una potenza destituente e costituente e del delinearsi di vittorie, crisi e rinnovate sfide, molte delle quali rintracciabili nel testo che segue e che rappresenta una trascrizione quasi letterale del dialogo intercorso con Humberto Cholango[4]  e Luis Macas[5] nella riunione del 13 novembre 2012 organizzata in occasione della visita a Quito di Michael Hardt, Sandro Mezzadra e Toni Negri e con la partecipazione di Mauro Cerbino e Isabella Giunta.

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Michael Hardt: Siamo molto curiosi di conoscere la vostra opinione sull’attuale contesto ecuadoriano e sullo stato dell’arte delle lotte del movimento indigeno …

(Humberto Cholango – l’attuale presidente della CONAIE- chiede a Luis Macas di avviare il dialogo, in una sorta di riconoscimento della storica traiettoria di lotta ed impegno di quest’intellettuale e militante indigeno.)

Luis Macas:  Sono convinto che non sia possibile comprendere quanto accade oggi senza ripercorrere l’intero percorso tracciato dai movimenti sociali ecuadoriani. Il movimento indigeno, senza dubbio, è stato il punto di riferimento di queste lotte sociali, sebbene molta gente non abbia voluto ammettere che il movimento indigeno sia capace di pensare al di là delle proprie rivendicazioni, specifiche e concrete. Sono certo infatti che la nostra lotta vada oltre. Chiaramente non possiamo rinunciare all’azione rivendicativa, altrimenti di cosa sopravvivremmo? E mi riferisco ad esempio alla lotta per il recupero della terra, dei territori, delle risorse in essi presenti e che rappresentano la base materiale e spirituale della riproduzione. Per questo siamo costretti a portare avanti una lotta di tipo rivendicativo. Alcuni riconducono l’origine delle nostre lotte agli anni ‘90, eppure credo che esse inizino molto tempo prima. Non solo intorno alla lotta per la terra e per l’identità, ma ben al di là; sebbene è innegabile che questi fossero gli assi portanti attorno a cui si configurò il movimento indigeno. E qui dobbiamo rilevare alcune conquiste importanti: innanzitutto le riforme agrarie realizzate in questo paese, sebbene esse non assunsero  la forma che avremmo voluto e nonostante il fatto che, tuttora, esista una forte concentrazione della terra, dell’acqua e del resto di risorse. Un’altra vittoria da segnalare riguarda la conquista di uno spazio al margine dell’educazione formale, attraverso la costituzione del Sistema di Educazione Interculturale Bilingue (di cui ora però non conosciamo le sorti né in mano di chi sia finito).

Si tratta di spazi puntuali ma necessari per avanzare nella lotta del movimento indigeno; eppure la prospettiva è sempre stata quella della lotta strategica, fin dalle ribellioni e dalle guerre di Tupac Amaru. Lotte che per noi hanno rappresentato dei veri e propri punti di riferimento; per questo non dobbiamo stupirci quando ci dicono che siamo “di sinistra per natura”!

Non dobbiamo dimenticare l’insegnamento ricevuto da donne luchadoras (che hanno lottato) come Transito Amaguaña e Dolores Cacuango durante gli anni ‘30 e ’40 del secolo scorso. In quell’epoca trovammo nel Partito Comunista un alleato: non si trattava, appunto, di lotte isolate bensì legate a referenti più ampi. Questo meccanismo di articolazione si è poi rafforzato nel corso delle ultime tre decadi fino al momento in cui il movimento indigeno è divenuto visibile come un indiscutibile attore sociale e politico. La stessa gente sembrava sorprendersi: “E da dove escono fuori questi?” Certo, durante l’epoca coloniale ci resero invisibili e non ci venne riconosciuto alcun significato importante in questo paese…. Però negli anni ’90 il movimento indigeno si manifesta pubblicamente e riesce a farlo proprio grazie alla precedente traiettoria di lotte.

Si confrontano due diversi paradigmi: da un lato il sistema in cui viviamo, le sue leggi e il potere politico; dall’altro il sistema comunitario, che è il nostro. Che possiede le sue regole e dove il primato è riconosciuto alla collettività, ai valori, alle decisioni collettive. Due sistemi assolutamente differenti. Eppure non si tratta di valori funzionali solo ai popoli indigeni, rappresentando piuttosto una possibilità per gli esseri umani in generale. Come il famoso Buon Vivere che ora è sulla bocca di tutti e che, per altro, per me non rappresenta l’esatta traduzione del Sumak Kawsay, ovvero delle forme di vita e di pensiero indigene, che non sono certamente riducibili al comprarsi una TV al plasma o al semplice consumismo ….

Il progetto di uno Stato plurinazionale risponde all’emergere di una tale diversità di culture, di popoli e di proposte che però lo Stato, segnato da basi assolutamente coloniali, non è stato capace di incorporare nella sua gestione. Nonostante le proposte del movimento indigeno, che sono mano a mano divenute proposte dei movimenti sociali in generale.

Humberto Cholango, che è qui con noi, ha guidato ed organizzato la partecipazione della gente a Montecristi, durante il periodo costituente, affinché si potesse influenzare il processo con le nostre proposte.

Rafael Correa non è altro che il risultato della costruzione storica e della lotta dei movimenti sociali; e tali proposte e lotte si concretizzano in questo governo. Addirittura vengono riprese nella Costituzione del 2008 attraverso, ad esempio, il riconoscimento dei diritti della natura. Conquista ottenuta grazie all’impegno unitario con ecologisti e lavoratori: infatti non si tratta di una proposta sorta esclusivamente in seno al movimento indigeno ma di una costruzione collettiva che testimonia il livello di mutua comprensione e sintonia raggiunto tra il movimento indigeno e molti altri settori sociali del paese.

Per noi la Costituzione funge come arma per la lotta. In materia di diritti si è avanzato moltissimo e non certo per la volontà onnipotente del Governo ma grazie alle pressioni sociali che hanno permesso forgiare la Costituzione così com’è ora. E tali lotte non sono state opera solo degli indigeni, ma dei contadini, degli ecologisti e dei movimenti sociali in generale. Basti pensare che Alberto Acosta, durante la sua presidenza dell’Assemblea Costituente di Montecristi, ha tenuto milleduecento riunioni e di queste almeno novecento con rappresentanti dei movimenti sociali!

Una rivoluzione viene fatta dal popolo, dalle masse, come diceva Marx e non dal caudillismo. La rivoluzione si riflette e si materializza nei profondi cambiamenti all’interno di un paese. Ad esempio: qual era la rivendicazione principale di tutti i contadini ed indigeni? La Rivoluzione Agraria; ma ad oggi non è stato fatto un solo passo avanti …

Le antiche strutture di potere di questo paese sono ancora vigenti: è manifesto che non sia cambiato nulla. C’è di più: i livelli di povertà continuano ad aumentare. Certo c’è stata una crescita a livello macroeconomico, ma come si ridistribuisce tale aumento di ricchezza? Non solo la CONAIE e le organizzazioni del movimento indigeno, ma anche altri settori organizzati dei movimenti sociali non si riconoscono nella stessa rotta e progetto dell’attuale Governo. Le possibilità di cambiamento, in questo paese, continuano a risiedere nelle mani dei lavoratori; quegli stessi lavoratori “bastonati” da questo Governo, fin da quando i lavoratori del settore petrolifero vennero accusati di beneficiare di stipendi “d’oro”. Poi se la sono presa con gli indigeni, nel tentativo di annichilire la nostra organizzazione e la nostra capacità d’azione come movimento indigeno. La prima modalità è stata la cooptazione, per poi ricorrere anche alla forza. Quanti nostri compagni sono sott’accusa…

Humberto Cholango: Vorrei aggiungere qualche riflessione rispetto al levantamiento del 1990[6] e alle questioni che in esso vennero portate avanti. Furono essenzialmente tre, rispetto alle quali, a distanza di 25 anni, possiamo riconoscere di aver raggiunto delle conquiste. Mi riferisco, in particolare, alla rivendicazione di un’Assemblea Costituente con pieni poteri mirata a decostruire lo Stato coloniale e patriarcale; a quella di uno Stato plurinazionale e di una società interculturale e, infine, al riconoscimento delle autonomie territoriali per una libera autodeterminazione dei popoli. Gli anni ’80 e ’90 sono stati attraversati da dure lotte: nella fase di maggiore “splendore” del neoliberalismo, il movimento indigeno agisce come soggetto politico e diviene una sorta di interlocutore tra lo Stato e la società. E qui perde qualsiasi legittimità il discorso che ci vuole concentrati solo su noi stessi, dibattito tipico degli scorsi anni e recentemente resuscitato intorno alla candidatura di Auki Tituaña alla vice-presidenza[7].

In ogni caso il processo costituente ed in generale il processo di cambiamento in corso non sarebbero stati possibii senza quell’ondata di crisi economica, di crisi della rappresentatività e dei partiti politici che hanno attraversato tutta la regione sudamericana. Mi riferisco ad eventi come l’apparizione di Chavez, la caduta di Fujimori o, ancora, il rovesciamento, qui in Ecuador, di ben tre governi.

L’abbiamo fatto come movimenti sociali, come società non convenzionale che certo non partecipava all’esercizio del potere istituzionale ma era organizzata. E così abbiamo imposto l’agenda politica. Le proposte di cambiamento non provengono dalle accademie o dai partiti ma nascono dagli esclusi e dal basso.

D’altronde l’attuale Costituzione non rappresenta la sintesi perfetta ma senza dubbio raccoglie le aspirazioni delle lotte e degli sforzi che portammo avanti per mutare i rapporti di forza con il potere.

La rottura con il governo non è recente; arrivammo alla stessa approvazione della Costituzione del 2008 attraverso divergenze. Come CONAIE non abbiamo mai avuto un accordo o un patto politico con Rafael Correa[8]. E il perchè è riconducibile al fatto che già eravamo reduci da un’esperienza molto negativa, con Lucio Gutierrez. Tuttavia esisteva una certa convergenza nell’agenda, in particolare rispetto ad alcuni punti come ad esempio la revoca della concessione della base militare di Manta agli USA, il no al TLC e la Rivoluzione Agraria.

Rafael Correa non è una persona che vuole cambiare questo tipo di stato; non sembra proprio volerlo fare, sebbene nei suoi discorsi attacchi l’oligarchia. Certo, ha buttato fuori un impiegato della Banca Mondiale così come promuove la questione dell’integrazione attraverso UNASUR, che rappresenta senza dubbio un’ottima politica; o, ancora, ha riconosciuto l’asilo ad Assange. Ma all’interno del paese persistono enormi difficoltà.

Adesso il presidente dichiara che sfiderà il sistema bancario, assicurando che aumenterà il buono della povertà a spese del sistema[9]. Eppure fino ad ora non ha fatto nulla per ridistribuire gli utili delle banche e piuttosto ha fatto di tutto affinché esse crescessero: i profitti sono aumentati permettendo un consolidamento di questi blocchi di potere. In generale i gruppi economici consolidatisi nel controllo del mercato nazionale sono sessanta.

Spesso Rafael Correa si scontra pubblicamente con i mezzi di comunicazione, eppure non è mosso dalla convinzione di trasformarli ma piuttosto dall’obbligo a difendersi dai loro attacchi. Ripeto: la sua non è una convinzione.

A ciò si aggiunge l’incapacità di molti settori del Governo di rispondere adeguatamente alle sfide del progetto politico e così numerose questioni non vanno avanti, come ad esempio la legge sulla comunicazione, sull’acqua, sulla terra e molte altre non ancora approvate.

Certo dal punto di vista della mobilità, il lavoro è perfetto: ora le nostre strade sono in migliori condizioni di quelle spagnole! E senza dubbio è stato recuperato il controllo sulle imprese petrolifere, sebbene si mantengano contratti per la concessione di servizi. Allo stesso modo esiste uno Stato modernizzatore, nel senso che esercita, ad esempio, un controllo sul rispetto delle scadenze, sui procedimenti per i concorsi ed è in generale dominato dalla meritocrazia. Questa, però, non è partecipazione nello Stato. E lo Stato plurinazionale non esiste da qualsiasi punto di vista la si voglia guardare: emettere un decreto in base al quale il 12% del personale pubblico debba essere indigeno non equivale ad aver costruito uno Stato plurinazionale. Modernizzazione, tecnocrazia e predominio dell’efficienza si accompagnano alla liquidazione della democratizzazione e della partecipazione. In altre parole è stata eliminata la possibilità che il popolo partecipi e promuova questi processi di cambiamento. Anche l’economia non è stata “socializzata”, tanto che in un enlace sabatino[10] Rafael Correa ha affermato: “in fondo stiamo facendo meglio le cose attraverso lo stesso modello di accumulazione, non è nostra intenzione nuocere ai ricchi, però sì costruire una società più giusta ed equa”.

E’ stata istituzionalizzata la proposta del Sumak Kawsay, eppure il presidente continua a porre enfasi sullo sfruttamento delle risorse e lo abbiamo visto chiamarle, stringendo dell’oro nel pugno, “le risorse con cui Dio ci ha benedetto”! Come può fare dichiarazioni di questo tipo dopo secoli di sfruttamento sofferti nel nostro paese a causa dell’oro?

Si tratta di uno scontro profondo d’idee e di concetti e il nostro distanziamento non dipende certo dal non essere stati presi in considerazione come indigeni. D’altronde i processi sono così ….

Esiste un investimento pubblico rilevante, in educazione, in salute e in altri servizi sociali e la stessa povertà si è ridotta. Eppure è necessario ragionare sulla qualità dell’investimento nelle scuole e negli ospedali. Ad esempio a causa della strategia dell’“eccellenza” da raggiungere nelle università, la maggior parte della popolazione indigena è esclusa non riuscendo ad accedere agli atenei. Sono state istituite delle prove standardizzate per tutti gli ecuadoriani che non considerano la provenienza da diversi sistemi educativi, in particolare da quello bilingue.

E´ lo Stato che definisce l’agenda, non sono i movimenti sociali ad imporla allo Stato.

Toni Negri: Avete errato nella vostra valutazione iniziale oppure il governo ha cambiato rotta nel corso del tempo?

Humberto Cholango.  Direi che sono vere entrambe le ipotesi. Correa si muove con molta gente intorno ma non tutta risponde allo stesso progetto politico e piuttosto aspira a mantenere lo status quo. D’altronde anche noi abbiamo pensato che la rivoluzione fosse arrivata. Adesso è ora di cambiare. Correa si scontra col corporativismo[11]. Afferma che è la piaga peggiore che può colpire uno Stato, ma attraverso questo discorso attacca anche i lavoratori e gli indigeni. Parla di cittadinanza, ma non crede nelle identità e nelle collettività. Non siamo un collegio di avvocati o un sindacato! Siamo popoli che hanno territori, lingue e strutture sociali storiche. Ed accade qui in Ecuador come in altri paesi. Dietro a questo tipo di discorsi si nasconde l’intenzione di attaccare le nostre forze e le nostre organizzazioni. Se l’attacco fosse mirato solo agli indigeni potrebbe venirci il dubbio di essere noi nell’errore. Ma l’aggressione è verso tutti: ambientalisti, lavoratori, studenti. Alcuni dei nostri dirigenti sono stati accusati di terrorismo. Con un governo socialista ci sono leader indigeni perseguiti per terrorismo! E’ una situazione molto complessa, a tal punto che al descriverla spesso non veniamo creduti.

Ci sono state organizzazioni come ad esempio, la CLOC e La Via Campesina che hanno difeso e sostenuto Correa a livello internazionale. Ma ora stanno cambiando posizione mettendo  in discussione tale appoggio incondizionato, a fronte delle dichiarazioni di Rafael Correa sull’irrilevanza di una rivoluzione agraria vera e propria e sull’opportunità di aumentare la produttività. Dietro questo discorso si nasconde la questione degli OGM ed abbiamo l’impressione che alla fine ne verrà autorizzato l’utilizzo[12]. Non a caso il presidente sostiene ci siano, nella Costituzione, molti errori infantili e troppi diritti e garanzie …

Insomma, non siamo più al livello di mutua incomprensione sulle modalità di dialogo, ma di modi di pensare concretamente diversi.

Mauro Cerbino: In questa valutazione quanto pesa la vostra esperienza di partecipazione al Governo con Lucio Gutierrez?

Luis Macas: Beh sì senza dubbio quell’esperienza ha lasciato un segno, eppure considero che Rafael Correa fin dall’inizio abbia portato avanti un progetto politico dissimile da quello dei movimenti sociali. Non ha partecipato alle lotte degli anni precedenti al suo Governo, non era qui in Ecuador e quando è rientrato dai suoi studi è stato più presente in ambito accademico che non nella militanza coi movimenti sociali. Si è distanziato dall’inizio ed è per questo che i movimenti sociali non camminano assieme a Rafael Correa.

Sono convinto ci siano dei punti di convergenza che hanno in certe fasi permesso un avvicinamento. Ad esempio nelle elezioni presidenziali del 2006, durante il ballottaggio, non potevamo certo appoggiare Alvaro Noboa e così il movimento indigeno diede una chiara indicazione di voto a favore di Rafael Correa. In quella fase la questione più urgente e visibile era la firma del Trattato di Libero Commercio (TLC) con gli Stati Uniti, una dura battaglia per i movimenti sociali anche in opposizione al Governo precedente a quello di Correa che lo stava per firmare. C’era poi la questione della base militare di Manta e il non rinnovo degli accordi con le forze armate statunitensi. E ancora l’espulsione della compagnia petrolifera statunitense Oxy (con la quale ora si affrontano seri problemi legali). In sostanza erano questi i punti di convergenza fra Correa e il movimento indigeno.

La stessa sintonia non si è riflessa nell’agenda politica generale. La nostra priorità era concretizzare le nostre proposte attraverso l’Assemblea Costituente di Montecristi. Ma fin da allora iniziarono le prime divergenze, poiché le nostre proposte non erano tutte gradite a Correa. Ad esempio quando a Montecristi si discuteva la plurinazionalità il Presidente divenne rabbioso e disse che il 3% della popolazione non avrebbe imposto un modello di paese se il resto della popolazione non lo avesse voluto. Un atteggiamento che sfiorava il razzismo. Tuttora molti di noi si chiedono come sia stata possibile l’approvazione della questione della plurinazionalità come uno dei temi fondanti della Costituzione nonostante il rifiuto assoluto del presidente.

In fin dei conti Correa è stato fedele fin dall’inizio ad un progetto di modernizzazione del capitalismo; ha costruito strade meravigliose a Zamora (che è zona di giacimenti minerari)? Certo! Ma i fondi li hanno messi i cinesi che vogliono portarsi via l’oro …

Un’altra bandiera di Correa è stata la questione del debito estero che agli inizi ha riscosso enorme sostegno ma che poi è andata scemando. Di fatto non è mai stato chiarito cosa sia stato fatto esattamente con il debito e per questo continua ad essere una delle rivendicazioni dei movimenti sociali. I movimenti sociali portavano avanti questa proposta e Correa, con estrema abilità, se n’è appropriato. Ciò non toglie che ora stanno promuovendo l’ingresso di capitale cinese per sfruttare le risorse presenti nel paese …

Humberto Cholango: Il totale dei contratti di prevendita sottoscritti con i cinesi gravita intorno ai 8.9 miliardi di dollari statunitensi … Quale punto di confronto può esserci tra, da una parte, una corporativizzazione dello Stato operata da poteri forti attraverso l’esercizio di un controllo diretto e, dall’altra, le nostre battaglie, ad esempio per gestire i programmi di educazione bilingue? “La CONAIE non deve intromettersi, è una questione che deve essere gestita e controllata dallo Stato”. Ovvio, però la domanda che sorge è: lo Stato con chi intende costruire una società interculturale?

Sandro Mezzadra: Da un punto di vista formale la retorica della decorporativizzazione dello Stato è parte integrante del discorso neoliberista. E’ chiaro però che il tentativo di Correa è proporlo in una forma diversa, nell’ottica di sviluppare un nuovo giacobinismo, per universalizzare una figura di cittadinanza che, in ultima analisi, risulta spoliticizzata. In questa situazione la domanda è sempre la stessa: che significa sviluppare delle lotte sociali in condizioni profondamente diverse dagli anni ’80-’90? Tra l’altro sarebbe opportuno porsi questa domanda su scala regionale. Ciò che mi stupisce è che in America Latina i movimenti sociali sono stati capaci di sviluppare un incredibile potere destituente. Mobilitazioni a carattere insurrezionale che hanno aperto nuovi spazi politici, permettendo così il successivo sviluppo di governi “progressisti”. Un potere quindi non solo negativo, capace cioè di far cadere i governi, ma in grado di stabilire, allo stesso tempo, un’agenda politica. Credo si possa affermare che dopo la fase destituente abbiano assunto il potere dei governi all’inizio obbligati  a rendere conto ai movimenti sociali ma che in seguito si sono impadroniti dei processi di cambiamento. Sebbene in certi casi solo sul piano retorico. Come portare avanti le lotte a fronte di governi che agiscono sul piano della retorica e che usano i movimenti sociali come base della loro stessa legittimazione? Cosa vuol dire radicalizzare le lotte in governi di questo tipo?

Humberto Cholango: Abbiamo sperimentato alcuni processi e ci rendiamo conto di aver sofferto delle dinamiche molto originali. Nel caso ecuadoriano e in quello boliviano hanno assunto il potere dei governi che hanno fatto propria l’agenda politica e il discorso dei movimenti sociali. E ciò comporta il collasso dell’agenda degli stessi movimenti sociali, poiché il discorso è lì, collocato nell’ambito istituzionale. Dobbiamo riconoscere che come movimenti sociali non eravamo preparati, ma sono giustamente questi aspetti che ci ricostituiscono e ci consentono una rinnovata articolazione delle lotte. Non si tratta infatti di scendere in piazza ad urlare contro Rafael Correa ed Evo Morales (sebbene siano molto diversi fra loro). Le lotte dei movimenti sociali devono costruire un immaginario differente, a livello regionale e in ogni territorio.

Come articolare la lotta contro l’estrattivismo? In passato i diversi Forum Sociali Mondiali hanno giocato un ruolo importante per l’articolazione di questa lotta, ma non credo possano continuare a farlo. Le lotte per la difesa dei territori attraversano tutti i paesi; non si tratta più di scendere in piazza per protestare contro l’aumento delle tariffe del trasporto pubblico o del gas, ma intorno a nuove rivendicazioni. In alcuni casi, probabilmente, non saremo compresi fino in fondo dalla società; ma ciò non toglie legittimità a tali proteste.

Portare avanti una lotta sociale è ben diverso dal fare opposizione fine a se stessa e finire per unirsi a chiunque (mezzi di comunicazione, etc.). Quest’ultima non è certo la nostra linea, sebbene i mezzi di comunicazione abbiano voluto trascinarci in un meccanismo simile a quello prodotto in Venezuela durante lo scontro elettorale tra Chávez e Capriles. Non lo permetteremo: d’altronde l’abbiamo già dimostrato durante le mobilitazioni portate avanti nel marzo scorso.

Mauro Cerbino: Si tratta in sintesi di una depoliticizzazione dei movimenti sociali, e di una certa cooptazione dei dirigenti e, in certi casi, delle stesse organizzazioni. Però d’altro canto siamo testimoni di alcuni cambiamenti significativi che attraversano il campo sociale, come ad esempio l’impegno del governo Correa per evitare la precarizzazione del lavoro ….

Luis Macas: La questione è più complessa, e in certo modo perversa, poiché cela l’intenzione di disarticolare un progetto politico. L’obiettivo di smantellare la CONAIE, le comunità ed altri settori credo si accompagni alla volontà di depoliticizzare che tu menzioni. In altre parole si tratta di voler porre termine ad un progetto. In fin dei conti l’attacco contro la corporativizzazione dello Stato sembra diretto più verso il basso, per liberarsi di noi, che non per annientare il controllo esercitato dalle banche. Ad esempio l’accesso all’università è negato anche ai contadini, con l’applicazione di prove meritocratiche. Tutto dipende dalla capacità di ricostruire un’agenda condivisa, di far rivivere quella piattaforma comune che in passato ha permesso l’articolazione. Dobbiamo cercare di ricostruirla e farlo nonostante molti ci demonizzino a causa della collaborazione con il Movimiento Popular Democrático[13], un partito poco amato in Ecuador. È ora di avviare un dialogo mirato alla convergenza e di impostare un’agenda comune, alla luce delle concrete ed attuali condizioni.

Humberto Cholango: Abbiamo sviluppato un’alleanza con insegnanti e studenti. Certo non tutti, visto che vi sono anche correnti “ufficialiste”. Si tratta di alleanze su basi territoriali, facilitate dal fatto che i conflitti sorgono in tutto il territorio nazionale: per lo sfruttamento minerario, per l’acqua, per le grandi proprietà terriere, etc. Ad esempio intorno all’approvazione della legge sull’acqua abbiamo raggiunto un accordo tra CONAIE, FEI (Confederación de Pueblos, Organizaciones Indígenas Campesinas del Ecuador), FEINE (Consejo de Pueblos y Organizaciones Indígenas Evangélicas del Ecuador) e FENOCIN (Confederación Nacional de Organizaciones Campesinas, Indígenas y Negras del Ecuador). La prima iniziativa concreta risale allo scorso marzo e alla manifestazione per l’acqua: una mobilitazione unitaria che non per forza deve poi trovare riscontro negli attuali processi elettorali. E’ il caso, ad esempio, del Coordinamento dei Movimenti Sociali dell’Ecuador: non tutte le realtà sono coinvolte nella campagna o militano negli stessi schieramenti. Ciascuna realtà ha le sue difficoltà e chiaramente non esistono santi … D’altronde costruire un’agenda indigena e contadina comune è ben diverso dal riuscire a proporre un’agenda nazionale, per tutti i settori del paese.

Ci troviamo di fronte ad enormi sfide soprattutto alla luce degli ingenti investimenti realizzati dal Governo a beneficio delle comunità locali. Si tratta di una dinamica che dobbiamo affrontare obbligatoriamente e riuscire a lavorarci sopra. Ad esempio nella manifestazione di marzo lo Stato ci ha affrontato con ogni mezzo, mobilitando tutto l’apparato, promuovendo contro-cortei ed una campagna propagandistica basata sul discredito (accusandoci di essere golpisti finanziati dai “gringos-pancia-piena” e dalla CIA). Eppure non è riuscito a smembrarci.



[1] Ex militare facente parte – assieme ad Antonio Vargas, allora presidente della CONAIE, e a Carlos Solorzano, ex presidente della Corte Suprema di Giustizia- del triumvirato formato il 21 gennaio del 2000 subito dopo la destituzione di Jamil Mahuad, artefice della dollarizzazione dell’economia ecuadoriana. Tale triumvirato durò poche ore, a causa della delegittimazione ricevuta da poteri nazionali ed internazionali, ma rese Gutierrez sufficientemente celebre da vincere le elezioni ed assumere la presidenza dell’Ecuador tra il gennaio del 2003 e l’aprile del 2005, quando venne a sua volta destituito dalla protesta dei “forajidos”.

[2] Per un primo approccio a questa riflessione, oltre ricorrere all’abbondante letteratura latinoamericana, si può vedere: “America latina: tra impasse e nuovo conflitto sociale. Note per riaprire la discussione” di Sandro Mezzadra.

[3] La CONAIE – a differenza di altre organizzazioni sociali ecuadoriane, storiche e non – nella campagna per le elezioni presidenziali che si realizzeranno nel Febbraio 2013 non sostiene l’attuale presidente, Rafael Correa, bensì Alberto Acosta, candidato della Coordinadora Plurinacional de Izquierdas.

[4] Attuale presidente della CONAIE.

[5] Esponente storico del movimento indigeno ecuadoriano, fondatore della CONAIE e Ministro dell’Agricoltura durante la prima fase del governo di Lucio Gutierrez.

[6] A metà del 1990 la CONAIE promuove un levantamiento indigeno, quello che sarà conosciuto come il levantamiento dell’Inti Raymi e che ha inaugurato una serie di mobilitazioni indigene nazionali succedutesi negli anni (nel ’94, nel ’99, nel 2000 e nel 2001). Tra i principali fatti del 1990: occupazione pacifica della Chiesa “Iglesia de Santo Domingo” in Quito (maggio ‘90) e blocchi stradali realizzati in varie zone del paese durante diversi giorni (giugno ’90). Nell’insieme il levantamiento del ’90 obbligò la società ecuadoriana a riconoscere la vitalità e la forza dei popoli indigeni nonché le loro denunce contro il sistema sociale e politico, entrambi escludenti.

[7]  Auki Tituaña, appartenente fino a poche settimane fa alla CONAIE e al Pachakutik, è stato per anni sindaco – il primo indigeno dell’Ecuador- della cittadina andina di Cotacachi, contribuendo alla promozione di processi di governo locale partecipativo. E’ stato nel 2011 candidato alla presidenza della CONAIE, che però viene vinta da Humberto Cholango con uno scarto di più di 100 voti. Nell’ottobre del 2012 si candida come vice-presidente in binomio con l’ex banchiere di destra Guillermo Lasso. La CONAIE rifiuta pubblicamente questa candidatura, che in ogni caso viene poi declinata per problemi di riconoscimento di fronte al Consiglio Nazionale Elettorale.

[8] A differenza di altre organizzazioni sociali ecuadoriane, alcune di esse storiche. Ad esempio la FENOCIN, la CNC-EA e la FENACLE, nel settembre 2006, firmarono un accordo con Rafael Correa (allora candidato presidenziale) a favore della Rivoluzione Agraria.

[9] In effetti il parlamento ecuadoriano il 21 novembre 2012, alcuni giorni dopo il dialogo con la CONAIE qui riportato, discute ed approva il progetto di Legge Organica per la Ridistribuzione della Spesa Sociale, inviato con carattere economico urgente dal potere esecutivo e che prevede l’aumento da 35 $ a 50 $ del Buono di Sviluppo Umano (quello che Cholango definisce il Buono della povertà), incremento che in parte verrà coperto attraverso utilità del sistema finanziario privato.

[10] Spazi informativi che Rafael Correa realizza ogni sabato, itineranti in diverse località del paese e trasmessi dai mezzi di comunicazione pubblica a livello nazionale.

[11] Il Governo di Rafael Correa interpreta il “corporativismo” da un lato come lo storico e notevole assoggettamento dell’istituzionalità pubblica agli interessi particolari di gruppi economici (soprattutto le grandi imprese e il sistema finanziario privato) e dall’altro come un fenomeno più recente legato alla partecipazione di alcuni rappresentanti sociali (movimenti, associazionismo, università, etc.) nella gestione di organismi statali predisposti per lo più alla protezione dei diritti e allo sviluppo sociale; tale partecipazione è messa in discussione qualora non risponda alla ricerca del “bene comune” ma, invece, di interessi particolari. Tra i casi più “sensibili” vi è quello della Dirección Nacional de Educación Bilingüe (DINEIB): nel Febbraio 2009 il Governo di Rafael Correa emette un Decreto che revoca le funzioni prima delegate alle organizzazioni indigene (e, di fatto, esercitate dalla CONAIE), tra cui la nomina di alte cariche come la Direzione Nazionale e quelle provinciali della DINEIB. In seguito il Ministero dell’Educazione rilascia dichiarazioni che associano tale decisione al controllo esercitato dalla CONAIE sulla DINEIB, definito come rispondente a fini politici e particolaristici, incapace di raccogliere la diversità di visioni proprie delle nazionalità e delle organizzazioni indigene del paese e, in certo modo, causante di una scarsa qualità del Sistema di Educazione Interculturale Bilingue.

[12] La Costituzione approvata nel 2008 dichiara l’Ecuador libero da OGM, almeno per quanto riguarda le sementi e le coltivazioni.

[13] Il Movimiento Popular Democrático (MPD) é un partito d’ispirazione filo-maoista, sostenuto in particolare da docenti del settore pubblico, studenti medi ed universitari. Come Luis Macas afferma nell’intervista, questo partito non riscuote molta approvazione in Ecuador, probabilmente perché generalmente associato a pratiche di indottrinamento di docenti e studenti e al loro arruolamento in ricorrenti mobilitazioni (spesso violente) così come ad uno storico controllo sul sistema educativo nazionale, quest’ultimo attraversato da enormi carenze. Iniziale alleato di Alianza País (il partito di Rafael Correa), il MPD se ne è poi distanziato a causa del netto rifiuto al processo di valutazione del Sistema Educativo intrapreso dal Governo.

 

 

 

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