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Il potenziale di salute del comune

 

di CARLO ROMAGNOLI

Con la sua dichiarazione sulla non sostenibilità finanziaria del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) Mario Monti, per conto della governance finanziaria, ha voluto aprire, anche in Italia, la partita della messa a valore della salute, tramite la sua concreta trasformazione da diritto – acquisito con il ciclo di lotte degli anni ’60 e ’70 – a merce, acquisibile tramite polizze assicurative che garantiscano, così come avvenuto per pensioni, indennità di disoccupazione e accesso allo studio, l’indebitamento strutturale come impronta comune del biopotere sulle nostre vite.

Prima di addentrarci in una breve analisi dei processi che hanno portato a questo passaggio e dei suoi probabili punti di arrivo, è bene sottolineare che questo attacco dal nostro punto di vista evidenzia in primo luogo l’incapacità della gestione tanto privata quanto “pubblica” di garantire la salute della moltitudine, mettendo così in risalto il potenziale di salute del comune. Si apre pertanto un enorme spazio per lo sviluppo di lotte e pratiche sociali volte a costruire il comune in sanità, superando la lamentosa ed idealistica difesa del SSN, frutto di lotte sociali degli anni ’60 e ’70 che certamente rivendichiamo ma che, è bene ricordarlo, sono state sostenute in condizioni socio-economiche oggi non riproducibili in quanto specifiche del fordismo.

1. L’attacco del bankster Monti al Servizio sanitario nazionale è il punto di arrivo di un processo lungamente preparato: la prima “manovra economica in sanità” – eufemismo con il quale si descriveva la volontà di disinvestire nella nostra salute – è operazione che risale ai tempi in cui Bettino Craxi era Presidente del Consiglio (1984): nel caso di specie si iniziò separando le spese sociali per la salute mentale da quelle sanitarie, portando così un primo duro colpo alla unitarietà tra assistenza sociale e quella sanitaria.

Da quell’anno in poi non c’è stata finanziaria che non contenesse una norma tesa a limitare il diritto alla salute:

-       prima rinviando sine die il varo dei numerosi decreti applicativi della legge 833/78, istitutiva del SSN;

-       poi abrogando i fondi per gli investimenti in conto capitale;

-       poi “aziendalizzando” la sanità;

-       poi disarticolando l’equità di accesso alle cure tramite il federalismo, la libera professione ed i tickets;

-       poi iniziando a depauperare i servizi – soprattutto quelli territoriali – di personale tramite i blocchi del tourn over,

-       poi recintando il diritto alla salute con livelli essenziali di assistenza che già nel 2003 sancivano la privatizzazione della assistenza odontoiatrica, oggi costosissima;

-       poi, con una raffica di finanziarie fotocopia dei governi Prodi – Berlusconi, precarizzando gran parte del personale di nuova assunzione, esternalizzando i servizi di supporto e collocando in piani di rientro forzoso almeno otto regioni;

-       poi con i tagli messi in campo prima da Berlusconi e poi da Monti, che polverizzano i servizi sociali, tolgono circa 40 mld di € nel triennio 2012-1014 al bilancio della sanità , obbligando il SSN allo squilibrio finanziario e privatizzano di fatto, dato il micidiale mix tra costo dei ticket e lunghi tempi di attesa, la diagnostica di base e l’assistenza ambulatoriale specialistica dato che si spende di meno e si attende di meno andando nei laboratori e negli ambulatori privati.

Il senso di tutto ciò è reso bene da quanto avvenuto nel 2012: a fronte di 4,5 mld € circa di tagli lineari alla sanità presentati sotto la retorica della “spending review”, con lo stesso decreto vengono stanziati 3,9 mld € di “Tremonti bond” per acquistare azioni del Monte dei Paschi di Siena ad un valore di almeno 4 volte superiore a quello di mercato. Come segnala Maurizio Lazzarato, operazioni di questo genere evidenziano la sostituzione dei fini cui viene sottoposto il sistema fiscale, che perde la sua funzione di redistribuzione progressiva a favore della estrazione forzosa di valore dal corpo sociale e la sua messa a disposizione della rendita, la cui valorizzazione langue da ormai sei anni a causa della incapacità della governance finanziaria di risolvere la crisi globale.

2. É probabile che in questa fase i banksters al governo si accontentino di sancire la privatizzazione della sola assistenza diagnostica e della specialistica ambulatoriale, sia per portare a casa una situazione di fatto già acquisita, sia per saggiare la risposta sociale a questo loro ennesimo furto del comune, sia perché consapevoli del fatto che non vi sono le condizioni strutturali – al momento – per privatizzare l’assistenza di base e quella ospedaliera. Ma è chiaro che il punto a cui arriveranno non sarà dettato da una qualche remora etica, ma dal livello di lotta sociale che sapremo esprimere.

Per parte sua una certa disponibilità in questa direzione il ceto politico la dimostra già, stando alle parole del presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, riportate dal sito Salute internazionale: “In questo senso non è escluso che si arrivi a chiedere un contributo responsabile a chi può pagare, in rapporto al reddito. E che si possa pensare che certe categorie di lavoratori possano fare un’assicurazione privata finalizzata a garantirsi specialistica e diagnostica. Servizi che ormai si trovano nel privato allo stesso prezzo del pubblico con i suoi ticket. I tempi cambiano, e in un quadro di crisi come quello attuale tutto gratis non può più essere”. Enrico Rossi, Presidente Regione Toscana, Il Tirreno, 1 Ottobre 2012.

Vediamo quindi che accanto all’azione politico-amministrativa centrale a favore della rendita, la crisi dei modi di gestione privato e pubblico della sanità si evidenzia:

-       nella corruzione che le cronache giudiziarie hanno rivelato essere consustanziale a “mostri sacri” del privato in sanità quali il San Raffaele (che è bene ricordarlo ha dato due ministri alla sanità italiana di cui uno generosamente passato anche al sistema penitenziario per una storia di mazzette) e le cui magagne amministrative hanno contribuito, in sinergia con quelle ordite dalla Fondazione Maugeri alla caduta di Formigoni;

-       nella generale deliquescenza dei processi di rappresentanza politica a livello di istituzioni regionali, intente a riprodurre i propri apparati politico amministrativi grazie alla arbitrarietà nelle assunzioni e negli appalti garantita a direttori generali di loro nomina e, come evidenzia la documentazione giudiziaria sulla strage di Taranto e le lotte di centinaia di comitati impegnati nella difesa della salute sui territori, talora complici nell’esporre popolazione e lavoratori ad inquinanti di cui è noto l’effetto nocivo per la salute e la cui prevenzione è quindi un atto dovuto.

Se passiamo dal locale al globale, abbondanti sono le evidenze a sfavore dei modi di gestione pubblico e privato. Qui basterà ricordare:

-       l’incessante lavorio svolto da gruppi di “esperti” foraggiati da multinazionali e fondazioni, che si sono impegnati nella costruzione sociale di malattie cronico degenerative e di malattie mentali, ampliandone i criteri diagnostici in modo da includere quote sempre maggiori di soggetti, prima sani e poi arruolati tra i consumatori a vita di farmaci, dilatando a dismisura le spese dei servizi sanitari nazionali e generando sovradiagnosi e sovratrattamenti;

-       il supporto alla privatizzazione delle conoscenze sul vivente offerto dalle istituzioni a gruppi privati tramite la concessione del diritto a brevettare interi sistemi di sapere comune sui processi biologici, peraltro mercificate spesso in una cornice di generale in appropriatezza (pensiamo all’offerta di test genetici che predicono la predisposizione allo sviluppo di tumori o di altre patologie);

-       l’assoluta incapacità a fare fronte al cambiamento climatico (che ha implicazioni concrete per la salute di tutti) nei cui confronti non solo non vengono prese misure preventive globali, ma che oggi viene posto al centro, anche da parte OMS di politiche di adattamento allo stesso (sic).

3. A fronte delle molteplici evidenze, pur sommariamente esposte, sulla necessità di superare limiti e danni prodotti dalla gestione privata, da quella pubblica o peggio dal mix tra iniziativa privata e politiche pubbliche di servizio al privato che oggi sta al centro delle politiche tanto obamiane quanto della rappresentanza politica italiana, vi sono dunque le opportunità offerte da una gestione comune di salute e sanità.

É chiaro che qui come altrove, il comune non sarà il frutto dello sviluppo progressivo della storia né della delega ad nuova e pertanto più etica rappresentanza politica che sostituisca quella ora insediata negli scranni istituzionali, ma il portato delle lotte sociali e dei percorsi di cooperazione e inclusione che sapremo mettere in campo.

Assumendo il punto di vista del potenziale di salute del comune noi potremmo (ma è solo un modo per stimolare una discussione ed attivare sperimentazioni che dobbiamo decidere e valutare insieme):

-       superare le perdite di salute cui danno luogo le pratiche proprietarie e normalizzanti delle gestioni privata e istituzionale: una gestione comune della salute verifica la sua efficacia nella capacità di consentire una vita felice alle singolarità, rispettandone la molteplicità dei bisogni di salute propria dei diversi contesti socio culturali in cui ognuno ha liberamente deciso di collocarsi, contesti culturali di cui viene assunta la necessità di decostruire i meccanismi identitari cui pure danno luogo di per sé ed i cui effetti sono esacerbati dalla gestione biocapitalistica della salute;

-       valorizzare le critiche rivolte ai processi di normalizzazione insiti nella definizione sociale della “malattia”, e nella sua gestione biocapitalistica, con tutto il portato di stigma, esclusione ed emarginazione sociale, ma anche di costruzione sociale della malattia e produzione di classificazioni intrinsecamente corrotte di cui dobbiamo e vogliamo liberarci.  Quello che qui ci interessa è decostruire, proprio a partire da una accezione policontesturale ed auto sovversiva di salute, tutte le classificazioni oggi esistenti, un lavoro che impegnerà molte e molti e di cui in questa sede importa sottolineare la necessità;

-       riappropriarci del valore comune che produciamo cooperando, quel valore che oggi la rendita ci sottrae operando al di sopra ed al di là degli stati nazionali, con la messa a valore delle nostre vite e la cui ricattura non rientra minimamente non solo nelle intenzioni di Monti (sarebbe troppo aspettarsi questo da un professore con tale curriculum), ma in nessuna delle piattaforme politiche su cui si esprime oggi la rappresentanza. Se è chiaro che la spending review, operando sulla riduzione delle spese ha per obiettivo il trasferimento sulle nostre vite di quelli che un tempo venivano chiamati “oneri sociali”, la gestione comune di salute e sanità ai diversi livelli cui dovrebbe operare (locale, europeo, globale) trova le necessarie risorse in lotte che conquistino rendita sociale imponendo una “revisione e diversa allocazione delle entrate della rendita finanziaria”, così come le lotte negli anni ’60 e ’70 hanno prodotto autonomia a partire dalle lotte per il salario;

-       superare la delega nei momenti decisionali e l’autoreferenzialità di quelli valutativi attraverso il controllo sociale delle risorse. L’unica condizione in cui ha senso parlare di partecipazione è quella in cui si esercita un controllo diretto sulla quota di ricchezza sociale prodotta in relazione ad una destinazione decisa in comune; fino ad oggi il mancato intervento contro il degrado delle condizioni ambientali e di vita e l’uso proprietario dei servizi da parte della rappresentanza o dei professionisti/ tecnici si è basato sul fatto che con la delega i cittadini, pur essendo esposti a rischi o portatori di bisogni di assistenza, hanno accettato un sistema di utilizzazione dei soldi destinati alla loro salute, che non solo non prevede alcun loro ruolo, ma che li esclude completamente da qualsiasi possibilità di intervento in merito sia alla scelte da fare che alla valutazione di impatto delle scelte fatte. Un po’ come avviene nel caso dell’istituto giuridico dell’interdizione, in cui vista l’attestata incapacità di intendere e di volere, l’uso del patrimoni viene inibito al soggetto interdetto, mentre la gestione di beni passa ad un tutore.

4. Su questi e sui molti altri problemi associati ad una gestione comune di salute e sanità potrebbe essere opportuno ed anche urgente, dato l’attacco promosso da Monti al SSN, attivare processi di interazione tra singolarità, valorizzando quanto abbiamo iniziato a dirci alla Scuola estiva di Uninomade su “Conricerca e biocapitalismo” (ma senza per questo escludere il contributo di altri approcci visto che la conricerca nel biocapitalismo è terreno di sperimentazione) e ragionando insieme su come la sanità può contribuire alla nostra felicità. Non quindi un seminario verticale, ma un processo che combini riflessioni, esperienze di lotte e percorsi di cosoggettivazione, che ci portino su un terreno di lotta non difensivo né nostalgico, perché teso a valorizzare il potenziale di salute del comune.

 

 

 

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