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Il sapere critico di Commonware

 

di CLAUDIO CAVALLARI

È difficile, in pieno periodo di campagna elettorale, non sentirsi violentemente investiti dalla blaterante e paradossalmente narcisistica enunciazione di un vuoto. Le retoriche che vorticosamente si inseguono, dalle vetrine dei talk-show agli stucchevoli battibecchi che gonfiano i social network, paiono incoronare l’ostinata manifestazione di una morte già da tempo avvenuta. La vittima, il cui omicidio nell’era della comunicazione e dei comunicatori di massa non cessa di avvenire, è ormai senza volto, ma continua a chiamarsi discorso politico. Da più parti se ne intona lo sconsolato requiem. Da altre, grotteschi tentativi di rianimazione rasentano l’inutilità dell’accanimento terapeutico.

A chi non intenda rassegnarsi alla miseria di questa funebre alternativa s’impone dunque lo sforzo di una riscoperta. Come tornare a produrre discorsività politica? Quali strumenti teorici e pratici e quali saperi possono mettere in funzione una nuova semantica che nasca dalla condivisione di esperienze eterogenee di militanza e di movimento? In che modo?

Si tratta precisamente della sfida fatta propria dal collettivo UniNomade che risponde all’insieme di tali interrogativi presentando il secondo ciclo del corso di auto-formazione Commonware (Bologna febbraio-giugno 2013). L’obbiettivo è nitido: riappropriarsi di uno spazio di produzione di saperi critici (non a caso il corso ha luogo all’interno – e contro – l’Università) da mettere a disposizione di chiunque intenda orientarsi nella contemporanea composizione delle realtà di movimento, mediante la costruzione comune di nuovi e più adeguati strumenti di lettura del politico. Commonware (rovesciamento in positivo del nome dei pacchetti formativi telematici predisposti da sempre più numerose università, i cosiddetti courseware) si presenta innanzitutto come risposta ad un’esigenza che si fa impellente. Quella cioè di dar corpo ad un lessico teorico-politico che intersechi la nostra contemporaneità all’altezza delle sfide e dei problemi che pone. Lessico da condividere, prodotto ed agito in comune. Linguaggio-esperienza, aperto ed attraversabile, che funzioni da veicolo di ricomposizione di soggettività politiche, troppo spesso frammentate nel variegato spettro dei movimenti sociali.

Il primo ciclo formativo, intitolato da Marx all’operaismo, ha inaugurato la stagione di Commonware nel gennaio 2012 (in primavera uscirà per la collana UniNomade di ombre corte il volume che raccoglie le sette lezioni). In risposta alla quasi totale rimozione universitaria del pensiero di Marx, l’insieme di lezioni e di discussioni organizzate da UniNomade (video reperibili su uninomade.org) ha riportato il fondamento teorico principe della militanza comunista al centro di un dibattito sulle differenti declinazioni del pensiero critico nelle forme militanti della nostra storia recente. Un dato immediatamente produttivo si è dunque esplicitato da subito nell’articolazione tra categorie del pensiero, forme storiche della sua ricezione e configurazione delle pratiche materiali ad esse ispirate. Non per rispolverare una gloriosa galleria iconografica del passato, ma per riattivare nel presente un insieme di dispositivi teorici che, facendo tesoro delle esperienze ereditate, possano rivitalizzare oggi la dimensione costituente del conflitto sociale. Da qui la proposta di dedicare il ciclo di auto-formazione di quest’anno a Gli stili della militanza – dal movimento operaio ad Occupy. La prospettiva storica in cui verranno presentate le forme della militanza – dall’organizzazione politica e sindacale del movimento operaio alle forme aggregative contemporanee, costituitesi a partire dal movimento no-global – toccherà le figure più significative dell’organizzazione politica autonoma dell’ultimo secolo, presentandone la specificità in rapporto al presente: gli Wobbies, la militanza studentesca nel lungo ’68, l’esperienza dell’autonomia operaia, militanti anti-coloniali e Black Power, movimenti femministi e centri sociali. La modalità particolare attraverso la quale ciascuna delle esperienze militanti citate ha saputo confrontarsi con la propria congiuntura politica e con le trasformazioni del comando e dello sfruttamento capitalistico riflette, infatti, l’opportunità di interrogare la composizione politica di classe in grado organizzarsi oggi nelle lotte e nelle pratiche di resistenza dentro la crisi. La sfida che Commonware ci lancia è dunque quella di soggettivare politicamente la nostra storia militante. Inutile sottolineare come non si tratti affatto di riproporre stili e modalità che hanno già fatto il loro tempo, quanto piuttosto di coglierne lo spirito che li ha legati ad una storia di cui è figlio il nostro presente. Stili comunicativi ed aggregativi, capacità di rottura e di autoaffermazione la cui ricchezza richiede di essere assunta con riconoscenza, e atteggiamento critico, da parte di chi voglia chiedersi cosa significhi oggi tornare a produrre un discorso politico e militante.

* Pubblicato su “il manifesto”, 12 febbraio 2013.

 

 

 

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