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Intervista ad Alberto Acosta, ex ministro dell’energia e dell’industria mineraria del governo ecuadoregno di Rafael Correa

 

di VERONICA GAGO  e DIEGO SZTULWARK
da Quito, Ecuador

Il governo Correa è riuscito a raggiungere degli obiettivi importanti per quanto riguarda l’indipendenza economica e lo sviluppo sociale e culturale ma oggi, sostiene Alberto Acosta, ha il bisogno urgente di un superamento dell’attuale modello di accumulazione estrattivo e neo-sviluppista. Senza questo mutamento di fondo non vi sarà alcuna possibilità di radicalizzare la domanda sociale, ovvero di portare a compimento i reali obiettivi di democrazia sociale sollecitati dai movimenti indigeni, sociali e sindacali che hanno consentito l’insediamento di Correa al governo. Si tratta di un limite e di un bivio di fronte al quale sembrano trovarsi, anche se in misura diversa, tutti gli attuali governi “progressisti” dell’America Latina.

Come spiegherebbe lei la compresenza di diritti all’avanguardia promossi dalla nuova Costituzione, che mettono in discussione il modello sviluppista così diffuso oggi in America Latina, con le diverse critiche manifestate dal movimento indigena e da certi intellettuali sul modo in cui il governo di Rafael Correa sta regolamentando tali diritti; una modalità che in buona misura resta contraria a quanto era stato conquistato dalla Costituente?

Siamo in presenza di conflitti di diverso tipo. Il primo di questi conflitti è quello che ci appare quando leggiamo ciò che c’è scritto nella nuova Costituzione di Montecristi, grazie a un’altissima partecipazione popolare, e quanto sta facendo il governo di Correa, sostenitore anch’egli della Costituzione. Poiché bisogna dirlo: senza questo processo politico di attiva partecipazione cittadina, ovvero senza il governo di Correa, la Costituzione scritta due anni fa non sarebbe stata possibile. Bene, questo comporta una serie di problemi. Il primo: la difficoltà certa e reale di mettere in pratica tutto quanto viene scritto in una Costituzione, specialmente nel caso di una Costituzione all’avanguardia come questa, quando le forze politiche di governo e parlamentari non provengono da tale processo politico né fanno parte delle organizzazioni sociali che lo hanno prodotto. Per questa ragione ci saranno sempre delle tensioni. Ma anche se il governo fosse totalmente vincolato o provenisse apertamente dai movimenti sociali ci sarebbero delle tensioni, poiché è difficile che i cambiamenti avvengano dalla mattina alla sera. Senz’altro ci sarà un periodo di transizione più o meno lungo, complesso e difficile, che dipende dalla forza in termini sociali propria del processo politico di trasformazione messo in atto. D’altra parte, non bisogna dimenticare che vi sono gruppi sociali e politici che da una posizione radicale non fanno che minimizzare ogni obiettivo raggiunto in questi anni. Ci sono delle persone che in maniera piuttosto sbrigativa sostengono che il governo di Correa porta ancora avanti un progetto neoliberale. Per me oggi questo non è vero. Per quanto non veda ancora nemmeno la strada che porta verso la costruzione di un regime del Buon Vivere.

Allora, verso dove si sta andando?

Per prima cosa, non possiamo dire che siccome non stiamo andando verso il Buon Vivere ciò che c’è ancora oggi è il neoliberismo. Vi sono stati dei processi di ricomposizione delle diverse forze politiche e sociali, e perfino nei grandi gruppi oligarchici, che stanno ristabilendo un nuovo rapporto all’interno di una logica ancora capitalistica, ma non più neoliberale. Gli stessi imprenditori si stanno riposizionando in un processo di cambiamento, e per poterlo fare l’attuale governo di Correa appare utile e funzionale. Abbiamo, dunque, diversi problemi. Il primo deriva dal fatto che i processi sono sempre molto travagliati, nonostante vi sia coerenza, forza e decisione; pertanto non sarà facile rendere effettivi tutti i progressi stabiliti dalla Costituzione. Ma in secondo luogo, e soprattutto quando è lo stesso governo ad avere delle enormi contraddizioni interne, dei dubbi e degli elementi che vanno nella direzione opposta a quella stabilita dalla Costituzione, come per esempio la legge sull’industria mineraria; o quella sulla sovranità alimentare; oppure il progetto di legge sull’acqua in cui si stabilisce un limite al progetto di privatizzazione senza arrivare però alla nazionalizzazione, qualcosa di contradditorio poiché va in senso opposto alla Costituzione. Il terzo problema è che molti settori, perfino quelli vicini al movimento indigena e ai movimenti sociali, non sono mai stati in grado di capire ciò che rappresenta la Costituzione in termini di obiettivi già acquisiti per i movimenti popolari e sociali in Ecuador. E non capendo, non fanno nulla per difendere o per assumere questi diritti, e invece denunciano il Governo di non farlo, ma nemmeno loro stessi rispettano il proprio compito, che sarebbe quello di appropriarsi e di difendere la Costituzione e anche assumersi come opposizione al governo di Correa, ma a partire da discorsi realmente oppositivi e non semplicemente sterili.

Se il cosiddetto postneoliberalismo non coincide con il modello neoliberale puro ma neanche con quello del Buon Vivere: quali sarebbero le caratteristiche del governo di Correa, che come diceva lei hanno anche determinato un cambiamento nella classe dominante?

In America latina, ma in particolare nei paesi dove esistono governi progressisti, e subito si pensa al Venezuela, alla Bolivia e all’Ecuador, e dopo anche ad altri, non ci si impegna per portare avanti una trasformazione strutturale dei modelli storici di accumulazione propri della nostra regione. Non vi è un cambiamento netto. Non è più il neoliberismo tradizionale, ma questi paesi restano ancora all’interno di una logica estrattiva. La forma di produzione si definisce ancora dall’esportazione di materie prime, tra queste vi possono essere risorse minerarie, petrolio o altre materie prime, ma in ogni caso non c’é un cambiamento del profilo esportatore-primario di questa economia di estrazione, e non viene nemmeno messa in discussione la posizione sottomessa con cui ci inseriamo all’interno del mercato internazionale. Vedo questo come un primo punto. Il discorso è questo: esiste una Costituzione che apre la porta per andare verso un postestrattivismo, verso un’economia postpetrolifera, in termini concreti e di breve termine. Esiste un piano del Buon Vivere del governo Correa, dove vengono stabiliti gli obiettivi, le principali linee guida, addirittura alcune idee concrete, di come potrebbe essere questo processo di transizione, ma nella realtà non vi sono fatti reali che vadano in questa direzione. Oggi si dibatte, per esempio, quel codice di produzione che ripropone come opzione di sviluppo non più l’economia sociale e solidale, bensì un’economia imprenditoriale che prevede una partecipazione allargata a vasti settori della società, una maggiore discussione sulla redistribuzione delle risorse e della proprietà, ma non vi è alcuna trasformazione in atto, bensì il rafforzamento di uno schema imprenditoriale.

Allora, in primo luogo, non si può parlare di cambiamenti strutturali …

Questo è il primo punto: non possiamo parlare di cambiamento strutturale, ciò che è stato fatto è un aggiornamento del vecchio sistema estrattivo in senso neoestrattivista oppure, possiamo dire, in un sistema estrattivo del XXI secolo, in cui lo Stato ha una partecipazione maggiore nella rendita mineraria-petrolifera, vale a dire che lo Stato controlla in qualche misura l’attività delle impresse transnazionali, con una maggiore redistribuzione dei fondi ricavati da queste esportazioni grazie a una politica sociale piuttosto attiva, ma che resta comunque paternalista e clientelare. Possiamo dire che qui arriviamo al punto importante: sono stati rafforzati gli investimenti nelle politiche sociali, ma non è stato cambiato il sistema di accumulazione e di concentrazione della ricchezza, ovvero si stanno semplicemente redistribuendo, attraverso politiche sociali, gli eccedenti disponibili in molti dei paesi produttori ed esportatori di materie prime. Nel nostro paese, gli indici di povertà sono ancora molto alti, inoltre abbiamo dati che ci dicono che la povertà nel 2009 è cresciuta rispetto al 2008, nonostante siano stati incrementati in modo notevole gli investimenti nel settore sociale, che negli anni del governo Correa sono passati dal 4% del PBI al 8%; e questo non solo in termini relativi, ma anche assoluti. Tuttavia non è stato fatto quel salto qualitativo capace di rompere un sistema di accumulazione escludente, produttore di povertà e di grandi concentrazioni di ricchezza. La povertà tra gli indigeni è aumentata nell’ultimo anno in modo notevole. Abbiamo inoltre un secondo grave problema reale all’interno di questo schema: non soltanto non andiamo verso una nuova forma di accumulazione, poiché questa resta legata all’esportazione di materie prime, ma ciò che è più grave per me è che non sono state create delle condizioni per un’ampia e attiva partecipazione dei movimenti sociali. Tutto ciò determina una situazione altamente preoccupante.

Che capacità d’influenza hanno i movimenti sociali sul sistema di accumulazione?

La prima cosa che i movimenti sociali dovrebbero fare è ripensare la loro posizione di fronte al governo e darsi un progetto di più lungo raggio. La loro strategia attuale non è affatto lungimirante, e li sta facendo perdere la prospettiva storica del processo in atto. Non stiamo vivendo più gli anni precedenti alla presidenza Correa. In Ecuador ci sono stati dei cambiamenti sostanziali, qualcosa che cinque anni fa sembrava impossibile oggi è realtà: la base militare Americana nella città di Manta non c’è più; la proposta di un TLC con gli Stati Uniti come in passato non è più fattibile; la sottomissione al FMI e alla Banca Mondiale non è più la stessa di prima; il governo dell’Ecuador ha ridotto notevolmente la dipendenza che aveva come conseguenza del debito estero; abbiamo una politica economica contro-ciclica impensabile in un’altra epoca storica: sono stati smantellati tutti quei fondi di stabilizzazione petrolifera che non avevano l’obiettivo di coprire la domanda del paese, bensì quello di pagare i creditori del debito pubblico; sono stati investiti molti più fondi in politiche sociali ed è anche molto importante tutto ciò che viene fatto in materia di salute, istruzione ed edilizia popolare, così come quella norma che prevede l’investimento di 300 milioni di dollari all’anno in autostrade. Allora non possiamo continuare a dire che questo governo ha tradito o ha fallito o che ci ha fatto tornare indietro. Si sta costruendo qualcosa di nuovo e vi sono dei fatti che dovrebbero essere riconosciuti e sostenuti dai movimenti sociali. Promossi soprattutto dalla Costituzione, che come abbiamo detto, è d’avanguardia. I movimenti sociali e indigeni dovrebbero riflettere su cosa accadrebbe se le forze armate golpiste, che ancora esistono nel nostro paese, riuscissero a togliere Correa di mezzo: tutto questo crollerebbe. Temo che non saremo in condizioni migliori, poiché molto probabilmente verrebbe smantellata la Costituzione. In Ecuador sembra che scrivere delle Costituzioni sia quasi una tradizione: dal 1830 a oggi abbiamo avuto venti costituzioni, più o meno una ogni dieci anni. Insomma, tutti questi progressi passeranno a far parte di un processo di controrivoluzione: i gruppi oligarchici cancelleranno sicuramente tutte queste conquiste, poiché verranno identificate soltanto con il governo Correa, qualcosa che in realtà non è così.

Crede sia possibile una terza posizione tra il neoliberismo e il neo-sviluppismo o bisogna assumere il neo-sviluppismo come un processo di transizione postneoliberale?

Il neosviluppismo potrebbe essere assunto soltanto come una fase del processo di transizione se si è sicuri che questo passo è necessario per arrivare alla tappa postestrattivista, ovvero postsviluppista. Purtroppo non capisco come potrebbe funzionare tutto ciò nel caso ecuadoregno, in cui si sta valutando la possibilità di aprire l’economia all’estrazione di risorse minerarie a cielo aperto. Esiste, in un modo o nell’altro, una coscienza, più per bisogno che per convincimento, di essere pronti per un’economia di tipo postpetrolifera. Il petrolio finirà, non importa quando, ma stiamo già arrivando a ciò che è stato chiamato il picco della campana delle risorse (teoria della “curva a campana” di Hubbert) e stiamo già andando verso la fase di declino, bisogna dunque essere pronti. Ma non mi sembra corretto che per uscire dal sistema estrattivo si debba aprire la porta ad un’altra attività estrattiva, predatoria di uomini e ambiente, capace di affondarci ancora di più nella dipendenza estera. L’industria mineraria del metallo a cielo aperto su grande scala non può essere la via per uscire dal sistema estrattivo. Vi do un esempio per illustrare meglio ciò che penso e mi preoccupa. E’ come se io avessi un problema di droga e per farmi guarire il medico mi dicesse di raddoppiare la dose. Vi sono incongruenze molto marcate in questo senso.

Quali sono le conseguenze della rivolta della polizia del 30 settembre, che molti hanno definito come un tentativo di colpo di Stato e altri, al contrario, non condividono una tale interpretazione?

Per me esistono tre fatti innegabili. In primo luogo, c’è stata senz’altro una cospirazione architettata settimane prima per far sì che la polizia e le forze armate si mobilitassero, un fatto che si è rilevato vero in quasi tutto il paese per quanto riguarda la polizia (solo in tre provincie non si sono piegate alla rivolta), ma nel caso dei militari soltanto alcuni reparti si sono sommati alla sommossa: per esempio, è stato chiuso l’aeroporto di Quito, alcuni soldati sono usciti a manifestare di fronte al Ministero della Difesa ed è stato chiuso l’aeroporto militare di Latacune e qualche altra unità ancora è insorta. Secondo fatto certo: il presidente è stato tenuto in ostaggio; non è stato sequestrato o allontanato del tutto dal potere: non affatto, egli poteva continuare a parlare al cellulare, aveva dei contatti e controllava ciò che succedeva nel paese, ma non poteva uscire dall’ospedale se non firmava un accordo nel quale doveva compromettersi a ritirare tutto ciò che stava interessando in modo negativo la polizia; e a quanto pare sembra che polizia e militari abbiano ottenuto successivamente qualcosa in questo senso, anche se Correa non ha firmato. In terzo luogo, uscendo dall’ospedale Correa ha subito un tentato omicidio. E questo è indiscutibile, ci sono i video e le registrazioni della polizia nel momento stesso in cui alcuni agenti cercano di uccidere Correa e alcune persone che si trovavano intorno a lui cadono ferite o uccise. Di fronte a questo panorama, il problema non è discutere ancora se è stato o meno un colpo di Stato. Ciò che è successo è che hanno paralizzato lo Stato, ma il vero problema sono le risposte politiche da dare …

Quali sono state queste risposte?

Il problema che vedo è che il governo non le sta dando affatto, ha posto enfasi sull’inchiesta avviata dalla polizia e dalla giustizia, ma non ha introdotto dei correttivi politici: da parte del governo non vedo un richiamo a un dialogo nazionale con quei settori sociali e politici con cui ha lavorato nei primi anni della sua gestione (durante l’elaborazione della Costituzione). Oggi non esiste un dialogo sociale di questo genere, non esiste un impegno per stabilire una base che consenta la costruzione collettiva di uno scenario di prospettive condivise. Non sto parlando di condividere il governo, ma di un’altra cosa. Non vedo nemmeno un cambiamento nel rapporto con gli altri settori della società. Bisognerebbe opporsi in modo deciso ai gruppi oligarchici che sostengono le forze golpiste, reazionarie, ma non vedo che ci siano degli spazi per un rapporto più democratico. Un problema di questo genere affligge anche il parlamento, quando si discute di quelle leggi che si cercano di imporre attraverso decreti o qualunque altro meccanismo di questo tipo. Non riscontro nemmeno un cambiamento nell’atteggiamento del presidente Correa: il suo carattere intollerante, prepotente, con tratti autoritari non è la causa dei problemi, ma non aiuta certo a risolverli, anzi non fa che aggravare la situazione, poiché egli ha creato dei conflitti con tutti i settori sociali e popolari, con tutti i movimenti politici di sinistra. E credo infine che il tentativo di golpe è stato fatto anche contro la sinistra, che mi sembra piuttosto confusa e frammentata.

* traduzione di Gabriela Garcia

Città della costa ecuadoregna in cui si è svolta l’Assemblea Costituente.

Nella Costituzione dell’Ecuador viene promosso il regime del Buon vivere o sumak kawsay (in lingua quechua ecuadoregna)

 

 

 

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