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La civetta costituente

 

di ANTONIO NEGRI

Che siamo entrati in una fase costituente, tutti lo dicono: ma costituente di che cosa? La Boldrini e Grasso, ma anche tanti altri, ripetono ad ogni entrata in scena che la Costituzione del ’48 è “la più bella costituzione del mondo” – e allora, su quale ramo dovrà appollaiarsi la civetta costituente?

In realtà continuiamo a spendere parole troppo importanti per dir poco o niente. “Costituente” è una di queste parole. Per trasformare il Senato in Camera delle autonomie, non dovrebbe esser necessario il ricorso allo spirito costituente. E neppure per fare una nuova legge elettorale, e neppure per realizzare il riconoscimento dei sindacati, e neppure per abolire le province, e tantomeno per stabilire i criteri del fiscal compact (che, d’altra parte, la Commissione europea ha già statuito), ecc.. Non sembra che in tal modo il desiderio costituente e l’ansia di corrispondere a tempi nuovi siano esaltati – ormai si parla sempre di più di “costituente” ma sempre di più si opera, in realtà, sul terreno amministrativo. Si pensi a quanto avviene sul livello europeo – se “l’Europa non è uno Stato”, non è neppure un ambito costituente, anche se ognuno dei mille produttori di norme e dei mille attori di governance che agiscono dentro il terreno comunitario, si pretendesse costituente. Iniziativa costituente significa invece creare “incidenti democratici di base”, “produzioni istituzionali di democrazia dal basso” e non determinare semplicemente atti amministrativi nell’alto dei cieli della politica dei partiti.

Le forze politiche presenti in parlamento non vanno oltre quell’alto livello amministrativo. Adorano la vecchia Costituzione – e questo sentimento invade l’animo anche di quelle forze che si pretendono nuove, dei rappresentanti M5S, per esempio. Si potrebbe – dicono – andare avanti anche senza governo, con un’amministrazione governata dal parlamento: davvero? Comunque a loro basta la trasparenza della vita istituzionale, lucidare la Costituzione a questo scopo –cosa sacrosanta; o piuttosto metterla a nuovo? Ma questo significa prendere in mano, interloquire, lavorare la Costituzione “materiale”, cioè gli interessi produttivi, gli intrecci politici e sociali, i nuovi diritti, la domanda di “comune”, l’ecologia storica che sta dentro ad ogni costituzione e che la rende efficace e viva. Questa Costituzione che abbiamo, non è invece più né efficace, né viva: questo tutti lo sanno ma nessuno ne parla. Intanto, quasi fosse per cambiar discorso, i nuovi “costituzionalisti” ci dicono che i parlamentari devono essere pagati come un operaio: cosa sacrosanta. Tanto più che lo diceva anche la Comune di Parigi, che però aggiungeva (perché a quei deputati interessava la materialità della costituzione) che non solo le paghe ma anche i redditi dei rappresentanti dovevano essere uguali; insomma, che la giustizia distributiva doveva impiantarsi su quella commutativa e che i ricchi, se volevano essere deputati rappresentanti, dovevano lasciare i loro patrimoni all’Erario. Perché altrimenti solo i ricchi avrebbero potuto far politica (ed è quello che l’ultima sentenza della corte suprema americana ha stabilito alla maniera neoliberale, e cioè che sono i soldi che fanno la rappresentanza – che è esattamente il contrario di quello che volevano i communardi). Si può procedere dall’affermazione che se si vuole essere liberi (e cioè capaci di rappresentanza fuori da conflitti d’interesse), si deve essere uguali? Che cosa potrà essere “costituente” oggi se non costituirà un nuovo equilibrio fra libertà ed uguaglianza, calibrato sulle condizioni comuni della produzione sociale?

La Costituzione del ’48 era indubbiamente una buona Costituzione – una costituzione fordista però, nulla più di questo, che chiedeva al capitalista una qualche lealtà nell’organizzare la fabbrica per produrre società; allo Stato di garantire che la paga dell’operaio che costruiva la 500 Fiat, gli permettesse di comperarla (e le strade per correre con la macchinetta); e all’operaio di accontentarsi di questo. Si sa com’è andata a finire! Gli operai non ne hanno potuto più di quella società e i padroni non ne hanno potuto più di quegli operai. D’altra parte, dopo che le costituzioni nazional-socialiste e quelle sovietiche “di tutto il popolo” – tipiche costituzioni fordiste in materia laborista – si erano sfasciate, come pretendere che questa nostra Costituzione sopravvivesse? Vogliamo uscire dall’impasse? Non sembra – in tutta Europa, all’implosione del modello costituzionale-fordista, l’establishment politico risponde con sforzi ininterrotti per riaggiustare quel modello andato in frantumi. Da noi, dove gli elementi caricaturali sono nella vita istituzionale spinti all’eccesso, i meno conservatori, alla Renzi, pensano che si debba rottamare il personale politico per restaurare la Costituzione; i conservatori alla Grillo promettono, nella crisi, una trasparenza che permetterà di ridar lustro ad una macchina d’altri tempi; gli imbroglioni alla Berlusca pensano che è inutile cambiare costituzione perché i loro affari sono meglio protetti dall’attuale che da qualsiasi altra; comunque sarebbero d’accordo con i più stupidi per esaltare “la prudenza e la saggezza del Capo dello Stato” e per concedergli maggiori poteri – beati dell’esistente. Basta, ancora basta! È il momento di inventare un nuovo schema costituzionale basato sulla partecipazione dei cittadini alla gestione del comune.

Si è detto: “stanare” i grillini, rispetto all’ambiguità delle proposte programmatiche che esprimono e non esprimono. Credo, tuttavia, che sia meglio dire: che si dichiarino, che dicano quello che vogliono! Chiedendogli di aprire un dibattito non solo con le forze politiche ma con tutti i lavoratori. Ce l’hanno con la rappresentanza politica: bene, ma è necessario chiarire che cosa possa essere non-rappresentativo. Noi abbiamo qualche idea sulla democrazia diretta ed anche su quella partecipativa, abbiamo inoltre legami organici con i compagni indignados di Spagna, con quelli Occupy e con molti gruppi di militanti delle Primavere arabe. Potrebbe essere utile notare quanto i valori di quelle rivolte siano epidemici. Esigere la libertà vuol dire anche introdurre e diffondere l’idea di un’eguale distribuzione della ricchezza – come in Tunisia ed in Egitto; lottare contro la corruzione significa organizzare la partecipazione diretta e la trasparenza come invenzione di nuove di forme di partecipazione politica – come in Spagna; protestare contro le ineguaglianze create dal controllo finanziario conduce anche, come a New York, all’esigere un’organizzazione democratica del “comune” ed il libero accesso a questo. E ancora: sul tema del reddito e su migrazioni e movimenti della forza lavoro, sulla questione europea, sul comune (ed in particolare sulla comunicazione), sulla magistratura alla ricerca di una indipendenza effettiva, sulle banche e sulla “moneta del comune” e sulla prepotenza dei “mercati”, ecc.: su ciascuno e tutti questi argomenti, la discussione è aperta. Bisogna discutere ed agire, rompere e ricostruire.

La rottura c’è già quando consideriamo quello che avviene nel cielo della politica – chi non prova ribrezzo guardando Berlusconi e Bersani, Monti e Maroni, per non parlare di molti, troppi loro portaborse? Bisogna cacciarli, c’è stata una rottura ideale che deve diventare reale. Le primarie del Pd, ma già le campagne sull’“acqua bene comune” degli anni scorsi, le elezioni dei nuovi sindaci e poi lo stesso Tsunami Tour di Grillo l’hanno ampiamente dimostrato. Ma la ricostruzione, dov’è? Dov’è lo spirito costituente? Consisterà nello svecchiamento e nella rottamazione? Nessuno crede più che Blair abbia ricostruito qualcosa di quello che la Thatcher aveva distrutto. Ne sarebbe capace Renzi, questo Blair che arriva vent’anni dopo? Sarebbe solo un imbroglio, un ulteriore ritardo da evitare. Di contro, ci vuole forza, per trasformare le cose. Una forza, ad esempio, che imponga un effettivo reddito di cittadinanza (non un pietoso allargamento dell’assistenza alla disoccupazione, una proiezione ulteriore di povertà e di miseria); o ancora: una forza che assuma l’Europa come il terreno sul quale affermare lo spirito costituente di tutti quelli che lavorano, ieri, oggi e domani sempre embedded nella povertà.

Questo non significa che dobbiamo mettere lo spirito costituente al lavoro per la costruzione di una Costituzione per l’Europa. La ricchezza dei propositi, delle idee, delle speranze e delle iniziative costituenti va senz’altro oltre una qualsiasi ricerca di unità. Ma è ora di dire che un’organizzazione costituente è necessaria per ricostruire. Per rompere e per ricostruire.

Per rompere. Gli ardori giovanili che accompagnavano le grandi rivoluzioni si sono acquietati nei tempi presenti. Le armate sansculottes di Saint Just o l’armata a cavallo di Budionny erano ragazzi. Oggi ci sono sempre meno giovani e viviamo una demografia di alto bordo. Ma anche ai vecchi che siamo diventati non dovrebbe mancare la capacità di vedere che nella Costituzione del ’48, così come in tutte le costituzioni democratiche vigenti, accanto al diritto privato e a quello pubblico, non c’è spazio per il comune – perché l’individualismo proprietario ha pochi o nessun limite né dubbi certi iscritti in quella Carta, mentre la sovranità del pubblico (ovvero l’attribuzione allo Stato di quello che è comune) è sempre aperta alla patrimonializzazione privata; che l’esproprio o l’appropriazione sociali di beni privati, ma anche solo un’alta tassazione (quella delle “grandi fortune” è quasi costituzionalmente impossibile: lo sta ora sperimentando il governo socialdemocratico di Hollande) ed una qualsiasi politica fiscale tendente all’eguaglianza dei redditi, sono bandite; e che l’opzione liberale del mercato resta del tutto egemone ed ha man mano cancellato, meglio, distrutto dalle fondamenta (negli anni a cavallo del nuovo secolo), ogni legittimazione degli interessi dei lavoratori. E sì potrebbe continuare. Ma soprattutto bisognerebbe far comprendere ai nostri fratelli, l’irreparabile, l’irreversibile sconfitta subita dalle interpretazioni più o meno “progressiste” (parola non più pronunciabile) delle costituzioni fordiste – interpretazioni, cioè, che rifiutavano la preminenza dello Stato-apparato, che ancora affermavano la validità dell’atto-legge e si rifiutavano alla produzione sovranazionale delle normative (spesso ormai negoziate o decentralizzate). O, infine, quelle interpretazioni che – pur riconoscendo che la dottrina della sovranità (con l’allegata ossessione dell’unità e della concentrazione dei poteri) stava crollando – mantenevano tuttavia l’illusione che la separazione dei potere valesse ancora, anzi che essa rimanesse essenziale al mantenimento della democrazia. Illusioni? Certo: che cos’è più questa divisione dei poteri quando il legislativo (rappresentativo) è corrotto fino alla nausea, quando l’esecutivo funziona solo per decreti (e lo Stato-apparato non solo lo permette ma se ne nutre come un vampiro) e la magistratura (dagli anni settanta in poi) ha funzionato come “supplenza del potere”? E tuttavia, ancora, questa non è la cosa più importante nella crisi del diritto costituzionale e del funzionamento della sua macchina istituzionale. Il peggio consiste nel fatto che sessantacinque anni di costituzione democratica in Italia e qualche centinaio di anni di costituzione liberal-democratica nel mondo non hanno messo freno, per un momento solo, all’innalzamento dei redditi delle élite – italiane e mondiali. Nella crisi questi processi non solo non si arrestano ma si approfondiscono. Nessuna costituzione liberal-democratica riesce a limitare la concentrazione delle ricchezze e a suddividere i benefici economici dello sviluppo (quando ci siano) assicurando una forte crescita del reddito reale dei poveri. Lo sviluppo dei mercati finanziari ha reso abissali le tendenze alla divisione fra classe ricche e classi povere. E non si vede – fra i democratici, siano progressisti o riformisti, ed ora neppure fra i rivoluzionari informatici del M5S ­­– alcuna alternativa a livello del disastro che stiamo vivendo. Ci dicono che la Costituzione del ’48 è il meglio: ma se oggi vivessero Terracini, Dossetti, Calamandrei, pensate davvero che non la considererebbero piuttosto un peso al piede, un archivio tipo Statuto Albertino?

Ricostruire. Capace ne sarà solo una forza che si assuma il compito di aprire mille valichi per affermare libertà di espressione e di movimento politici ed eguaglianza e solidarietà sociali ed economiche. Iniziativa costituente significa creare “incidenti democratici di base”, “produzioni istituzionali di democrazia dal basso” e non determinare semplicemente atti amministrativi nell’alto dei cieli della politica dei partiti. La civetta costituente deve organizzarsi come forza che produce questo cammino.

 

 

 

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