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La costituzione del comune e le ragioni della sinistra

 

di MICHAEL HARDT e ANTONIO NEGRI

1. Che cosa è stata la sinistra?

C’era una volta il neoilluminismo accademico (Norberto Bobbio ad esempio) che definiva la sinistra come portatrice dei valori dell’uguaglianza, mentre la destra lo sarebbe della libertà . . .  ma l’ideale è di tenerle insieme. Queste favole lasciamole a Habermas, l’unico ideologo a perseguirle ancora. Comunque da quando l’egual-libertà è stata fatta propria dalla riforma blairiana del Labour questo progetto è finito nel nulla.  Meglio, in catastrofe.  In questo momento, infatti, ci troviamo di fronte ad una serie di autocritiche talmente generalizzata da non stupire che se ne siano fatti portavoce persino Pierre Rosanvallon e Anthony Giddens. Di fatto, nel neoliberalismo trionfante la distinzione tra sinistra e destra era divenuta sottile e flessibile.  La sinistra difende il Welfare State fino a quando il suo costo non incide troppo sul debito pubblico, cioè sulla volontà di mantenere l’ordine gerarchico della società; e la destra demolisce il Welfare State finché l’ordine pubblico e la sicurezza non siano messi in pericolo.  La dimensione monetaria era divenuta fondamentale nel gestire, sotto la maschera dell’egual-libertà, la diseguaglianza sociale.  Sul terreno militare la distinzione tra sinistra e destra è divenuta anche più ipocrita: laddove la destra conduce guerre imperiali e occupazioni di terreno, la sinistra contribuisce a queste guerre attraverso bombardamenti umanitari dal cielo.  In ogni caso, anche queste distinzioni sono superficiali: al trascendentalismo ideologico della propaganda della destra e della sinistra corrisponde una pratica molto brutale che non fa distinzioni.  Si badi bene: questo nostro appiattimento della sinistra sulle pratiche della destra non è davvero caricaturale, anzi non è molto lontano dalla realtà. Comunque s’intenda il concetto di sinistra, non sembra esserci molto spazio per essa nella governance imperiale. Il progetto di un movimento “di lotta e di governo” (vecchio paradigma della sinistra) non funziona più perché, quando ci si confronti alla governance imperiale, la potenza di cattura delle istituzioni è più forte di qualsiasi tentativo di rinnovare l’ordine della società e di democratizzarne l’amministrazione.

Noi non crediamo, tuttavia, che il concetto di sinistra sia divenuto inutile e insensato.  Di contro, esso può devenire importante quando sia concepito come potenza costituente.

 

2. Obama e le illusioni della riforma

Perché ci piaceva Obama? Perché egli, nelle primarie democratiche così come nelle elezioni presidenziali, aveva espresso l’intenzione costituente (non solo come “forma” del suo progetto ma come “forza” della sua politica) di trasformare attraverso l’esecutivo la società americana.  Tutto ciò si è rilevato un’illusione. Confrontato ai problemi sollevati dalla crisi finanziaria, Obama non ha saputo dar loro risposta se non rinnovando la fiducia agli organismi finanziari che dominano la politica mondiale e che erano stati causa della stessa crisi; confrontato alle guerre scatenate da Bush, Obama non è riuscito a districarsi, ma anzi ne ha rinnovato l’aggressività militare e poliziesca; per quanto riguarda la politica del Welfare, ed in particolare le questioni legate alla riforma sanitaria, Obama ha solo complicato le prime misure riformiste con retrocessioni e compromessi paralizzanti.

Ma il problema non è Obama (anche se evidentemente lo è): il problema è l’incapacità della sinistra di tenere le sue promesse una volta che sia stata avviluppata dal sistema del potere. Dove sta questo limite? Essa non riesce a riaprire le lotte mentre governa. Possiamo pensare che la pesantezza delle strutture del potere sia ormai arrivata ad un tale livello di complessità da non far più corrispondere le scadenze elettorali ai tempi di una qualsiasi riforma? Oppure, vi sono altre ragioni (non solo istituzionali) che rendono illusoria ogni proposta di riforma da parte della sinistra?

Per rispondere a queste domande, dobbiamo ricordare che, tanto negli USA quanto nei paesi europei, c’è stata una forte espansione del potere esecutivo negli ultimi trent’anni. Ovunque la burocrazia esecutiva ha sviluppato strutture che raddoppiano e/o rivaleggiano con gli altri due poteri: in USA i ministeri legali dell’esecutivo dominano sul potere giudiziario; l’Office of Legal Counsel dell’esecutivo è diventato più importante di quelle dell’Attorney General; gli esperti economici della presidenza dominano sul potere legislativo.  In Europa, da tempo ormai, il governo svuota il potere parlamentare attraverso una legislazione per decreti; i ministeri dell’interno e di polizia sono stati sottratti ad ogni controllo.  I poteri di guerra e la gestione dell’esercito rappresentano forse il momento più drammatico di questa trasformazione. Perché, allora, data questa sproporzione dei poteri dell’esecutivo nei confronti degli altri poteri, Obama non è stato capace di sviluppare i suoi progetti di riforma?  Obama non ha messo fine all’uso dei poteri che nell’epoca di Bush erano stati identificati nella forma dell’eccezione: perché allora non è stato capace di utilizzarli effettivamente?  In quale misura Obama stesso è prigioniero di quella struttura esecutiva della quale dovrebbe essere il padrone?  Certo, Obama non è un rivoluzionario, ma era andato al potere con l’intenzione di attuare alcune modeste e significanti riforme.  La stessa cosa si potrebbe dire per le sinistre in Europa: l’ultimo esempio di forte riforma della sinistra risale al primo biennio di François Mitterrand.  Dopo il 1983 la sinistra al potere non è mai riuscita a rinnovare la società attraverso progetti riformisti.

Per rispondere a questi interrogativi, noi crediamo che bisogna innanzitutto sottolineare la differenza tra l’efficacia e la riuscita delle riforme della destra (Reagan per esempio) e l’inefficacia ed il fallimento delle riforme della sinistra; ed analizzarla.  Noi crediamo che la destra possa fare le sue riforme perché le costituzioni democratiche prefigurano questa possibilità solo per la destra.  Le costituzioni democratiche, sia quelle antiche, sia quelle costruite nel secondo dopoguerra, sono costruite dentro una cornice liberale.   L’unico esempio opposto, cioè l’unica radicale riforma di sinistra, il New Deal di Roosevelt, non vale a dimostrare il contrario, così come non valgono i trionfi socialdemocratici dell’immediato dopoguerra europeo.  In quei casi erano stati il disastro dell’economia capitalista e la guerra appena terminata che avevano imposto quelle riforme: esse non erano riforme ma compromessi transitori e riversibili.

Di contro, si può notare che la trasformazione ed espansione del potere esecutivo negli USA, cominciato sotto l’amministrazione Reagan, non è stato condotto a termine solamente dai repubblicani ma perfezionato anche dalle amministrazioni democratiche.  Le politiche della Casa Bianca sotto Clinton e Obama hanno proseguito anch’esse in quella concentrazione del potere nell’esecutivo, di cui dicevamo.  Anche in Europa i movimenti di sinistra non sono riusciti ad imporre sul potere esecutivo una forza dirompente nel senso della riforma.

 

3. I tre poteri in crisi

Vi sono stati tentativi (ed in Italia ne è in corso uno) di determinare nuovi equilibri costituzionali ed aperture riformiste attraverso l’uso e la mobilitazione del potere giudiziario. Anche negli Stati uniti tentativi del genere sono stati perseguiti e talora sono riusciti: la giurisprudenza della Corte Suprema negli anni trenta e negli anni sessanta ha contribuito alle riforme sociali ed alla modificazione libertaria ed antirazzista della stessa Costituzione.  Ma, come prima dicevamo, ciò è dipeso da condizioni eccezionali di crisi economica o da conflitti che mettevano radicalmente in pericolo l’ordine sociale.  Le cose sono subito cambiate, il potere giudiziario si è di nuovo (e banalmente) riconosciuto come conservatore.  Senza ricordare il ruolo cruciale della Corte Suprema statunitense nell’elezione di Bush nel 2000, basti insistere sulla recente decisione di permettere contributi illimitati alla compagna elettorale da parte delle imprese, valutando quei contributi come protezione del diritto costituzionale al “free speech”.  Anche in Europa, vi sono, come dicevamo, tentativi di considerare la magistratura come macchina costituente.  Qui si rinnova un’antica utopia giacobina, mai efficace, sempre ambigua. In Italia in particolare, il potere riformatore dei giudici produce una deformazione del luogo costituzionale attribuito alla magistratura: quando i giudici funzionano in maniera non conservatrice, lo fanno in funzione surrogatoria del potere politico. E ciò produce disastri a non finire.

È terribile poi sottolineare quanto il luogo deputato alle riforme, il parlamento, il potere legislativo, siano stati man mano svuotati delle loro funzioni. La crisi della rappresentanza democratica sembra oggi costituire il punto di maggior debolezza nei sistemi occidentali dell’organizzazione del potere.  Il potere legislativo ha ormai una capacità molto debole, quasi inesistente, di proporre progetti sociali, budgetari, e soprattutto di essere efficace nel controllo degli affari militari.  Il suo ruolo primario, di fatto, è divenuto quello di costruire appoggio o creare ostacoli alle proposte dell’esecutivo.  La più grande attività di cui il congresso USA è capace, sembra quella di bloccare le iniziative dell’esecutivo e di inceppare il governo.  In questa luce la sinistra, quando si affida al potere legislativo (ed è il solo spazio sul quale è spesso presente) o ci imbroglia o si illude della sua efficacia.

Come sempre in questi casi, il senso di alienazione che i cittadini provano dinanzi ai partiti politici (che della rappresentanza parlamentare sono il nerbo) continua a crescere. Tanto più questa sfiducia si determina nei confronti dei partiti della sinistra.  Taluni denunciano il fatto che il ruolo dei partiti si è straordinariamente complicato fra il ventesimo e il ventunesimo secolo: oltre ai problemi classici della rappresentanza della società civile, i partiti sono confrontati ai problemi del debito pubblico, delle migrazioni, dei cambi climatici, della politica dell’energia, ecc., sicché dentro questa complessità la loro capacità di rappresentanza dovrebbe estendersi e specializzarsi. In realtà si annulla. In questo quadro, il sistema parlamentare (insidiato dalle lobbies) sembra essere del tutto insufficiente.  Ma come riformalo, come rinnovarlo?  Far questo esigerebbe nuove forme di rappresentanza, un nuovo terreno civile di discussione e di proposta, nuovi soggetti costituiti in un processo costituente che vada dal basso verso l’alto: ma come aprire questo processo?  La sinistra, alla quale compete questo compito, non ci dice nulla in proposito. I dibattiti sulle figure elettorali della rappresentanza parlamentare sono divenuti incomprensibili ed inutili.  In Europa, quando si affronta il tema delle leggi elettorali, non puoi più distinguere fra ironia e cinismo. In ogni caso sembra si dimentichi che il denaro gioca un ruolo predominante nella politica elettorale, sia attraverso i contributi dei potentati economici sia attraversa i media, che dei potentati economici sono sempre espressione.  La pretesa della rappresentazione della società scompare dietro la potenza del denaro.  E, quindi, della corruzione che paradossalmente diviene, soprattutto per la sinistra, una strada quasi inevitabile.  Insomma, i partiti di sinistra si mostrano particolarmente incapaci di strutturare correttamente il rapporto con la società civile. Ci chiediamo di nuovo: perché?

 

4. Conservatorismo della sinistra, riformismo della destra

I partiti di sinistra sono divenuti i partiti della lamentazione. In Europa lamentano l’incapacità capitalistica di dar lavoro alla popolazione, la distruzione del Welfare State, gli interventi militari imperiali, ed eventualmente lamentano anche la corruzione dei loro propri rappresentanti e l’inefficacia della propria legittimità rappresentativa. L’unica posizione che sanno prendere aggressivamente è il ricorso difensivo alla Costituzione: proteggono un passato immaginario, consacrato dall’anti-fascismo e da un compromesso costituzionale con i poteri capitalistici.  Essi sono affetti da un “estremismo di centro” che spesso rimembrano come un passato idilliaco. Quanto agli intellettuali di sinistra (qualora in Europa esistano ancora) lamentano la corruzione della Costituzione e quanto le strutture della rappresentanza siano state svuotate.  Altrettanto avviene negli USA. Bruce Ackerman, per esempio, si preoccupa del fatto che l’espansione del potere dell’esecutivo crei pericoli dittatoriali; Sheldon Wolin pretende che le capacità democratiche della costituzione americana siano state svuotate fin al punto di creare un “totalitarismo invertito”: laddove lo stato totalitario controlla le strutture capitalistiche, nel “totalitarismo invertito” le strutture capitalistiche controllano direttamente le strutture dello stato. In Europa Rosanvallon, uno dei padri della “terza via”, ammette ormai l’impossibilità di controllo, da parte dello Stato, del potere finanziario.  E lo stesso Giddens lamenta l’eccesso di potere dei mostri mediatici denunciandone gli effetti totalitari.

Siamo arrivati al punto (un tantino paradossale) che solo i movimenti populisti, Tea Party o Lega o altri, pongono il problema della trasformazione o della riforma della Costituzione.  Per quanto riguarda il Tea Party, in particolare, per quanto indubbiamente una parte di esso abbia assunto la retorica standard del partito repubblicano in difesa della Costituzione (interpretazioni letterali e ritorno alla volontà dei Padri Fondatori), la base del movimento tuttavia riconosce che la rappresentanza ha cessato di funzionare e che il parlamento non li rappresenta più. Dunque, essi chiedono un’assemblea costituente. I contenuti programmatici del Tea Party sono in gran parte reazionari e spesso esplicitamente razzisti, però le loro assunzioni politiche basilari sono corrette. Si potrebbe dire lo stesso, forse, dei principi che sostengono il populismo della Lega, anche qui spesso reazionari e razzisti, ma indubbiamente efficaci quando insistono sulla crisi del sistema costituzionale rappresentativo.  La sinistra istituzionale oggi non riesce invece a comprendere la profondità della crisi della rappresentanza, non riesce a concepire la necessità di una riforma costituzionale.  In Italia, in particolare, la sinistra non è stata neppure capace di cogliere il fatto che i recenti referendum non sono stati difensivi ma senz’altro innovativi in materia costituzionale.  Infine, uno dei grandi contributi della ”rivoluzione spagnola” del 15 maggio è di aver concentrato l’energia critica sulla crisi della rappresentanza, non al fine di restaurare l’illusoria legittimità del sistema ma piuttosto per sperimentare nuove forme di espressione democratica – democracia real ya.  Il movimento Occupy Wall Street porta avanti questa critica della rappresentanza e questa richiesta di democrazia. Gli accampamenti alla Puerta del Sol e a Wall Street vogliono un processo costituente.

 

5. Può la sinistra diventare un potere costituente?

Con tutta probabilità è appunto da questa domanda che il nostro discorso deve ricominciare, dal dubbio, cioè, che la sinistra abbia la capacità di cogliere la radicalità dei problemi cui una politica democratica deve oggi confrontarsi.  Sono i problemi di un potere costituente.  È su di essi che si tratta di introdurre un dibattito pubblico.  È nostra convinzione che solo l’apertura di una discussione costituente possa scoprire di nuovo le “ragioni della sinistra.”  Cominciamo allora ad elencare i grandi problemi di un dispositivo costituente nell’attualità.

Il primo problema si pone quando rileviamo che le costituzioni liberal-democratiche sono fondate sulla proprietà privata mentre oggi la produzione avviene in maniera sempre più comune. L’innovazione e l’espansione delle forze produttive si basano sempre di più sull’accesso libero e aperto ai beni comuni, conoscenza e informazione, mentre la chiusura del comune in mani private riduce ed ostacola la produttività. L’accumulazione capitalista è ormai organizzata in termini finanziari, il capitale sfrutta una ricchezza socialmente prodotta e la capta prevalentemente nella forma di rendite finanziarie. Così, sempre più drammaticamente nella nostra epoca, la natura sociale della produzione confligge con la natura privata dell’accumulazione capitalistica. È questo il primo quadro di riferimento della politica costituente di una sinistra alternativa: essa si determina in relazione all’espressione del comune e si prova a fissare in tal modo i criteri di una “produzione dell’uomo per l’uomo.” In questo quadro, il primo ostacolo oggettivo è costituito dunque dalla proprietà privata e dalla rendita. Il potere costituente deve organizzare l’apertura dei beni comuni alla produttività sociale e la riappropriazione della struttura finanziaria della produzione per destinarla a finalità comuni. La riproduzione della vita prevale sull’accumulazione del capitale, il Welfare prevale sulla rendita finanziaria.

Il secondo problema, meglio il secondo tema d’attacco del potere costituente di una sinistra alternativa, è oggi quello del valore cognitivo del lavoro. Si tratta di sviluppare, costituzionalmente, politiche di autoformazione e di formazione comune che investano l’intero quadro produttivo. Le politiche universitarie e quelle della comunicazione devono superare non solo l’attuale condizione di miseria privatista ma anche il livello dell’organizzazione pubblica dell’insegnamento per diventare motori nella costruzione del comune e dell’integrazione sociale. Su questo terreno la sinistra deve innanzitutto provare la sua esistenza e la sua volontà politiche. Il populismo di destra può essere battuto su questo terreno, attraverso l’espropriazione degli strumenti di produzione e di comunicazione oggi in mano al capitale privato e a quello pubblico. La libertà di espressione si misura infatti sulla capacità di rendere comune la verità, e la libertà di produrre si misura sulla capacità di rendere comune la vita.

Il terzo punto attorno al quale una sinistra alternativa deve organizzare la sua capacità costituente consiste nel superamento della rappresentanza politica come professione. È questa una delle poche parole d’ordine della tradizione socialista che può essere rimessa al centro della nostra condizione civile. L’allargamento degli strumenti della democrazia diretta è fondamentale e non può che estendersi ai temi della sicurezza della vita comune ed alle funzioni di tutela e di controllo sia della privacy sia delle relazioni sociali. È chiaro che anche le funzioni di giustizia vanno rapportate alla democrazia diretta, togliendo di mezzo l’illusione che una magistratura professionale possa avere guarantite, dal privilegio economico e dalla superiorità sociale, indipendenza e lungimiranza.

Un quarto punto fondamentale riguarda il programma federalista, cioè la diffusione del potere sul territorio. La crisi dello Stato-nazione può essere risolta solo attraverso un approfondimento d’istanze federali di governo, vicine alla base, diffuse sul territorio, capaci di intervenire sull’insieme delle figure sociali e produttive, insomma nella governance della vita comune.  La sovranità moderna è finita.  La sinistra, in quanto figura interna alla lotta dei poteri nella modernità, simmetrica e complice della destra, è anch’essa finita.  Se ci sono ancora “ragioni della sinistra,” esse non riguardano l’aspirazione al potere di gruppi dirigenti, la selezione delle élites, ma la partecipazione democratica di base ad un processo costituente sempre aperto.

Ultimo urgente punto di attacco (per la definizione di una sinistra alternativa) è la capacità di far corrispondere in maniera permanente, la governance alle modificazioni del sistema sociale. Un sistema di regole costituzionali deve poter essere modificato con urgenza e velocità. Il suo problema è di seguire le variazioni della produttività in un sistema economico che assume come finalità “la produzione dell’uomo per l’uomo” e di stimolare e di approfondire la partecipazione dei cittadini alle funzioni di governance.

 

6. La riappropriazione sociale del comune

La fase attuale è caratterizzata dalla crisi di tutte le sinistre che non si vogliono costituenti. Viviamo in un periodo di lotte contro la crisi economica e politica del capitalismo – lotte che rivelano in maniera sempre più ampia uno spirito rivoluzionario. I movimenti insurrezionali nei paesi arabi come nei paesi europei si rivolgono contro la dittatura politica di élites corrotte o contro le dittature politico-economiche delle nostre democrazie di facciata. Non intendiamo certo confondere le une con le altre, ma è sicuro che c’è ormai una voglia di democrazia radicale che traccia un “comune di lotta” a partire dei fronti diversi.  Le lotte oggi si presentono in maniera diversa ma sono unificate dal fatto di ricomporre le popolazioni contro le nuove miserie e l’antica corruzione.  Sono lotte che dall’indignazione morale e dalle jacqueries moltitudinarie muovono verso l’organizzazione di una permanente resistenza e l’espressione di potenza costituente; che non attaccano semplicemente le costituzioni liberali e le strutture illiberali dei governi e degli stati, ma elaborano anche parole d’ordine positive come il reddito garantito, la cittadinanza globale, la riappropriazione sociale della produzione comune. Per molti aspetti l’esperienza dell’America latina nell’ultimo decennio del secolo ventesimo può essere considerata preambolo a questi obiettivi, anche per i paesi centrali del capitalismo altamente sviluppato.

Può la sinistra andare oltre il moderno?  Ma che cosa significa andare oltre il moderno?  Il moderno è stato accumulazione capitalista sotto il segno della sovranità dello Stato-nazione. La sinistra è stata spesso dipendente da questo sviluppo e quindi corporativa e corrotta nella sua attività. C’è anche stata, però, una sinistra che si è mossa dentro e contro lo sviluppo capitalistico, dentro e contro la sovranità, dentro e contro la modernità.  È di questa seconda sinistra che ci interessano le ragioni, quelle almeno che non siano divenute desuete.  Se la modernità capitalista subisce uno stato di crisi irreversibile, anche le pratiche antimoderne, progressiste nel passato, hanno perso le loro ragioni.  Se vogliamo ancora parlare di ragioni della sinistra, oggi vale solo farlo per una “ragione altermoderna”, capace di rivitalizzare radicalmente lo spirito antagonista dell’antico socialismo.

Né gli strumenti regolatori della proprietà privata né quelli del dominio pubblico possono interpretare i bisogni di quest’alternativa al moderno. Il solo terreno sul quale attivare il processo costituente è oggi il comune – “comune” concepito come la terra e le altre risorse di cui partecipiamo, e anche e soppratutto come quel comune prodotto dal lavoro sociale.  Questo comune, tuttavia, deve essere costruito ed organizzato. Proprio come l’acqua non è resa del tutto comune finché non sia montata un’intera rete di strumenti e di dispositivi per assicurarne la distribuzione e l’utilizzo, così la vita sociale basata sul comune non è immediatamente e necessariamente qualificata da libertà ed uguaglianza. Non solo l’accesso al comune ma anche la sua gestione devono essere organizzati ed assicurati dalla partecipazione democratica. Preso in se, dunque, il comune non taglia il nodo gordiano delle ragioni della sinistra, ma scopre il terreno sul quale esse devono essere ricostruite. La sinistra deve capire che solo una nuova Costituzione del Comune (e non più la difesa delle costituzioni ottocentesche o postbelliche) può ridarle esistenza e potenza.  Le costituzioni esistenti, come abbiamo già ricordato, sono costituzioni di compromesso, ispirate da Yalta più che dai desideri dei combattenti antifascisti.  Esse non ci hanno reso giustizia e libertà ma hanno semplicemente consolidato, con il diritto pubblico della modernità, le strutture capitalistiche della società.  Anche negli Stati Uniti la sinistra subisce lo stesso ricatto costituzionale.  Deve superarlo.  Deve farlo per andar oltre la tragica periodica ripetizione di una sinistra al governo che rifinanzia le banche che hanno determinato la crisi, continua a pagare guerre imperiali, ed è incapace di costruire un Welfare degno di un grande proletariato com’è quello statunitense.

Oggi si esige una costituzione del comune, e questa fabbrica del comune esige un Principe.  Non crediamo che qualcuno pensi a questo principio ontologico e a questo dispositivo dinamico come lo pensarono Gramsci o i padri fondatori del socialismo.  È solo dalle nuove lotte per la costituzione del comune che questo Principe potrà emergere.  È solo un’assemblea costituente dominata da una sinistra alternativa che potrà mostrarlo.

 

 

 

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