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La guerra in Siria e le fonti di informazione

 

di MASSIMILIANO TRENTIN

Quello che sta accadendo oggi in Siria è un conflitto che sta dilaniando una società e un territorio in modi talmente sistematici e pervasivi da lasciare una pesantissima eredità politica per chiunque tenterà di ricostruire il Paese o per chiunque ambisca a governarlo.

Da due anni è in corso in Siria una guerra spietata le cui dimensioni sono tanto molteplici da risultare spesso difficili da decifrare. O almeno, è difficile trovare una linea di conflitto che sia prevalente e prioritaria sia all’interno del Paese sia per chi vi partecipa dall’esterno. La divisione pro o contro il regime di Damasco è sicuramente uno spartiacque ma, a ben vedere, lascia insoluti molte questioni. Finché il conflitto si era svolto fra i “cittadini” marginalizzati, nel senso sia materiale che simbolico del termine, che praticavano la rivolta non violenta come i loro cugini in Tunisia, Egitto, Bahrein e Yemen, e un regime che scelse la strada della repressione violenta dei propri “sudditi”, la questione sembrava chiara. Tuttavia, con il passare dei mesi e il crescere delle vittime, presero forza e poi si imposero coloro che spingevano fin dall’inizio per lo scontro armato e totale: per l’opposizione, la caduta del regime tout court divenne l’obiettivo e, vista la resistenza di questo, il conflitto armato era l’unica via praticabile, anzi quella da perseguire, costi quel che costi; per il regime, la repressione delle forze ribelli organizzate era questione strategica.

La militarizzazione del conflitto anche da parte dell’opposizione non poteva che favorire in termini organizzativi e politici le forze che avevano maggior dimestichezza con l’uso delle armi, le strategie di guerriglia, urbana e rurale, e l’accesso ai canali di finanziamento e di rifornimento di armi. Nessuna sorpresa, dunque, che col tempo le formazioni islamiste e jihadiste hanno avuto la meglio sulle forze laiche o democratiche. In guerra serve organizzazione, disciplina, spirito di sacrificio e capitali. Questo non significa negare l’esistenza di gruppi armati laici e anche democratici o quantomeno progressisti, compreso l’opportunismo di alcune di queste nell’assumere caratteri “islamici” in modo strumentale per attrarre capitali dall’estero. Così come non significa negare la possibilità, molto probabile, che in tempo di “non guerra” la popolazione siriana rigetti le pratiche di relazione sociale e di governo delle formazioni radicali: proprio perché la maggior parte della popolazione siriana si riconosce nelle rispettive comunità confessionali ma ha sempre marginalizzato le espressioni più fanatiche in nome della convivenza. Tuttavia, sono le formazioni islamiste che oggi sembrano in grado di dettare molte delle dinamiche di guerra. Appunto perché siamo in guerra, e loro sono decisamente abili nell’arte della guerra.

Questa dimensione è indissolubilmente legata alle ingerenze internazionali. Per la sua posizione geografica al centro delle vie di comunicazione e scambio del Medio Oriente, il governo della Siria è troppo importante per chiunque ambisca a proporsi come leader della regione. Oggi è il momento dei Paesi arabi del Golfo alleati con i cugini dell’AKP della Turchia. Dall’essere motore e catalizzatore del decennio di crescita appena passato, sintetizzato col come di “Dubai consensus”, ora le classi dirigenti del Golfo giocano il tutto per tutto per imporsi come classe dirigente politica del Medio Oriente. Cercano e ottengono l’appoggio delle capitali europee, Londra e Parigi in primis, e in parte di Washington. Sono queste che addestrano, finanziano e sostengono buona parte delle formazioni ribelli armate in Siria, senza peraltro averne un pieno controllo strategico. Non volendo intervenire direttamente perché i rischi in termini di perdite e i costi finanziari sono troppo alti, la “santa alleanza” opta per l’outsourcing della guerra contro il regime di Damasco e i suoi alleati, Iran e Hizb’allah.

Ci si trova di fronte ad una situazione tragica: una popolazione ostaggio di una guerra che in due anni ha causato oltre settantamila morti, due milioni di rifugiati interni e un milione all’estero, devastazioni ambientali, infrastrutturali e produttive enormi e soprattutto il ritorno in forze dell’affiliazione confessionale e comunitaria come elemento identitario di difesa o sopravvivenza. Sono state marginalizzate le forze che sfidavano il regime per rivendicare il diritto di essere “cittadini” e non “sudditi”, di aver giustizia contro l’impunità delle forze d’ordine, di metter fine agli esorbitanti privilegi dell’élite al potere e dei loro “clienti” e, per converso, di investire sulle competenze e sui progetti di vita di una popolazione molto giovane ma “infelice”.

Le forze che oggi ambiscono a governare la Siria non offrono alcuna alternativa significativa. Da un lato, il regime ha imbarcato alcune forze della sinistra antimperialista tradizionale, ha concesso alcune aperture in termini di rappresentanza istituzionale e ha fatto un mea culpa parziale sulle magnifiche sorti progressive delle riforme neoliberiste adottate da dieci anni a questa parte. Troppo poco e sicuramente troppo tardi. Dall’altro lato, i programmi politici ed economici elaborati finora dalle forze di opposizione (Syrian National Council, Coalition for Syrian Revolutionary and Opposition Forces, per citare le più note) con l’aiuto diretto dei loro sostenitori europei, statunitensi e soprattutto del Golfo proseguono in modo tanto ostinato quanto coerente nelle politiche neoliberiste che hanno condotto la Siria, il mondo arabo, e potremmo dire l’intera area mediterranea, alla crisi e al collasso. A ciò si aggiunge il conservatorismo sociale proprio dell’Islam politico sostenuto dai capitali, dalle emittenti e dalle opere caritatevoli delle petro-monarchie del Golfo. Un conservatorismo sociale la cui pericolosità nella regione risiede nell’appiattire le soggettività individuali e collettive sulle affiliazioni religiose e nell’attribuire loro valore politico-istituzionale e, dunque, giuridico. Dall’Arabia Saudita ad Israele passando per il Libano questi progetti hanno sempre ostacolato le pratiche di solidarietà e progettualità politica che trascendono l’appartenenza comunitaria e familiare.

Oggi, la priorità è la fine delle operazioni di guerra e, dunque, porre fine ai massacri e alla presa in ostaggio di un intero Paese nelle logiche di devastazione e saccheggio che questa comporta. Armare i ribelli, o meglio ufficializzare quello che è già in corso, non può che radicalizzare le violenze e aumentare la preminenza delle formazioni armate. Chi persegue ad ogni costo la vittoria assoluta, vuole continuare consapevolmente la guerra, con tutto quello che finora ha comportato. I soggetti che possono giungere ad un compromesso (Damasco, Russia, Cina, Iran, USA, Germania) non hanno le credenziali per garantire un futuro democratico al Paese. Ma, come l’Egitto e la Tunisia ci dimostrano, le società arabe, con i loro problemi e soprattutto con la loro capacità di rivendicazione ed organizzazione superano di gran lunga le capacità di “governance” delle attuali, o aspiranti tali, classi dirigenti. Per questo, oggi, chiedere la fine della guerra e sostenere una soluzione di compromesso significa anche ridare spazio politico alle forze, trasversali, che praticano e progettano nuove libertà, nella giustizia.

Quello che segue è una breve e parziale panoramica su alcune fonti a cui attingere informazioni utili per districarsi tra la marea di informazioni che ci giungono essenzialmente dal web. In situazioni di guerra rimane indispensabile incrociare più fonti, anche se queste non rispecchiano le proprie opinioni. Come per le altre rivolte in corso nel mondo arabo (senza dimenticare l’Iran post elezioni del 2009), la stessa rete è un campo di battaglia in cui diverse forze si scontrano quotidianamente. Mi limito qui ad alcune fonti regionali ed internazionali che hanno versioni e traduzioni anche in lingua inglese, con la speranza che possano essere più accessibili. Con alcune eccezioni, sono fonti non esclusivamente dedicate alla Siria[1].

  • Il sito di Jadaliyya[2], gestito da Bassam Haddad e rivolto all’intera area medio orientale, costituisce un portale estremamente ricco di informazioni, iniziative e discussioni molto interessanti per la profondità e le competenze dei partecipanti. Ha orientamento laico e progressista, con tutta l’ambiguità ma anche ricchezza che questi termini portano con sé. Tra l’altro Haddad, docente alla George Mason University, è anche autore di un bel libro che merita attenzione per comprendere i soggetti che hanno contribuito ad sviluppare quei processi di “accumulazione per espropriazione”, e di redistribuzione di rendite e privilegi che hanno modificato l’economia politica dello stesso regime di Damasco[3]: da qui, l’erosione velocissima di quel poco di sostegno popolare di cui il Partito Ba’th e i sindacati ufficiali ancora godevano nelle zone rurali e nelle città di provincia, in cambio della deutsch-inspired “economia sociale di mercato” adottata dal X congresso nazionale del Ba’th nel 2005. Bassam Haddad si era fatto promotore di un acceso dibattito sul significato delle rivolte in Siria per le forze delle sinistra araba e statunitense. Il suo sostegno alle manifestazioni ha poi dovuto fare i conti con la militarizzazione dello scontro e la sua trasformazione in guerra aperta.
  • Il sito del Middle East Information Project[4] si pone su binari simili, sebbene più tradizionale nel formato e legato ad una rivista specifica. Merip rimane nel tempo un punto di riferimento essenziale per uno sguardo critico all’intera area e sensibile alle connessioni tra politica ed economia. Anche per la Siria offre numerosi approfondimenti di inchiesta sui soggetti in rivolta ma anche sulle dimensioni internazionali che il conflitto ha avuto fin dall’inizio. Altri due siti utili in cui trovare informazioni circa i processi di sviluppo socio-economici in Siria e in Medio Oriente sono quelli del Cercle des économistes arabes[5], il cui presidente è Samir Aita, direttore della versione in lingua araba del mensile Le Monde Diplomatique. Sempre sulle questioni economiche e sociali si consiglia di leggere i report del Center for Economic and Social Rights[6]. Per quanto ancora scarno, il sito del Syrian Center for Policy Research[7], il quale ha condotto un’interessante analisi sui fattori socio-economici che hanno contribuito a creare le condizioni per lo scoppio delle rivolte in Siria.
  • Il blog di Joshua Landis, docente all’Università dell’Oklahoma, Syriacomment[8] è invece dedicato in modo specifico alla Siria. Rappresenta oggi una delle fonti più ricche di informazioni e di approfondimenti grazie ai link ad articoli di giornale e ad analisi, arabi e non, e al riassunto ragionato che ne propone. Il curatore conosce bene il funzionamento interno del regime di Damasco e non nasconde recentemente la sua scelta pro-opposizione, compreso l’invito ad armare i ribelli per accelerare la caduta del regime che vede come inevitabile. Indipendentemente dalla sua scelta, il suo lavoro di documentazione si conferma di grande utilità.
  • Passando ai giornali e network, ricordiamo brevemente come al Jazeera  e al Arabiya abbiano compiuto fin dagli inizi una scelta di campo netta a favore del cambio di regime in Siria, coerentemente con le politiche estere dei propri patron, ossia le casa regnante al Thani del Qatar e Sa’ud in Arabia Saudita: due Paesi che, seppur con qualche differenza, hanno sempre puntato sul rovesciamento del regime di Damasco e, vista la sua capacità di resistenza, sulla guerra totale. Nonostante la priorità data alle posizioni dei Fratelli Musulmani, dei gruppi salafiti e delle coalizioni foraggiate dai Paesi del Golfo (in primis il Syrian National Council) sono comunque utili per conoscere queste componenti delle forze di opposizione. Su questa linea, si leggano anche gli editoriali e gli articoli di Assharq al Awsat e The National.
  • Dal punto di vista del regime di Damasco e dei suoi sostenitori, oltre all’agenzia di stampa siriana, Sana[9], può essere utile il sito del giornale libanese al Akhbar, di cui esiste la versione in lingua inglese[10]. Su posizioni laiche e nazionaliste, si era caratterizzato inizialmente per un approccio aperto e liberale nei confronti delle manifestazioni, ma vista l’evoluzione del conflitto e l’entrata diretta in campo delle forze conservatrici si è ben presto avvicinato alle posizioni di Damasco, per quanto riguarda la guerra. O comunque di forte critica all’opposizione armata e islamista.
  • Sempre in Libano ricordiamo il quotidiano liberale anglofono The Daily Star[11], al francofono L’Orient Le Jour[12] e alla storica testata della sinistra as Safir[13]. Una minima parte degli articoli di quest’ultimo sono tradotti in inglese da al Monitor[14]. Sebbene Siria e Libano siano due territori e due società strettamente legate le une alle altre, esistono esperienze storiche e politiche molto diverse che rendono le visioni reciproche spesso conflittuali. Ottimi per livello di approfondimento sono i reportage del britannico The Guardian dal nord della Siria e sui gruppi ribelli, islamisti e non, in particolare per quanto riguarda i metodi di finanziamento e sopravvivenza di queste formazioni.
  • Sul piano internazionale ricordiamo infine altre fonti. Il centro di ricerca International Crisis Group offre dei report utili per la raccolta di analisi sull’andamento del conflitto e delle posizioni diplomatiche delle diverse forze in campo[15]. Si tenga presente come l’obiettivo ufficiale della prevenzione e soluzione dei conflitti sia comunque funzionale alla formazione ed integrazione delle forze e delle istituzioni in un quadro liberale e filo-occidentale. Il sito web asiatimes[16] si situa su posizioni generalmente anti-imperialiste, utile nel caso siriano e medio orientale per le analisi delle posizioni di Iran e Russia. La fondazione Carnegie International nelle sezioni dedicate al Medio Oriente sponsorizza anche la rivista Sada[17] di posizioni liberiste e aperte non a caso  all’Islam politico: qui si possono trovare informazioni utili circa le questioni macroeconomiche e soprattutto le posizioni liberiste presenti a Washington. Su questo punto, è altrettanto utile consultare la rivista Foreign Policy nella parte dedicata al Medio Oriente[18] e al recente dibattito sull’opportunità o meno per gli Usa di armare ufficialmente i ribelli. Altra fonte interessante è il sito dell’Arab Reform Initiative[19], anche questo su posizioni liberali ma più attento alla complessità delle situazioni e alla costruzione delle soggettività in campo. Vi lavorano molti importanti studiosi arabi e internazionali.
  • In ambito internazionale, si consiglia di leggere gli approfondimenti del sito German Foreign Policy[20], in lingua tedesca e inglese, che offre una panoramica critica alle posizioni defilate ma molto influenti della Germania sulla crisi in Siria: l’elaborazione delle politiche economiche del regime di Damasco prima delle rivolte e ora dell’opposizione è passata attraverso il lavoro di consulenza degli “esperti” tedeschi. L’allineamento del Paese arabo agli standard delle politiche economiche neoliberiste ha trovato il sostegno entusiasta di Berlino e di Ankara, cioè i due referenti esteri principali per i processi di riforma dell’economia e dello stato negli ultimi dieci anni. I capitali del Golfo, gli investimenti turchi ed europei e la copertura politica della Francia di Sarkozy hanno oliato le trasformazioni che poi hanno contribuito allo scoppio e alla rovina del regime di Damasco.
  • Altre fonti attendibili si riferiscono a singoli esperti del Paese, tra cui: il sito di Nikolaos Van Dam[21], autore di numerosi classici sulla politica nella Siria contemporanea, e attento osservatore delle connessioni tra lotta politica e identità etnico-confessionali. Nel sito di Agence Global si possono trovare gli articoli di un altro esperto “classico” della Siria, Patrick Seale, profondo conoscitore del regime di Damasco, quantomeno fino al regno dell’attuale Presidente, Hafiz al Asad[22].
  • Per quanto riguarda le fonti in lingua italiana ricordiamo il sito della Near East News Agency[23], che traduce in italiano articoli in arabo di taglio generalmente nazionalista, laico e anti-imperialista. Come al Akhbar è utile per controbilanciare il peso informativo delle forze di opposizione. Sempre utile il sito web del giornalista dell’Ansa ed arabista Lorenzo Trombetta[24]: da sempre ostile regime di Damasco riporta comunque analisi puntuali della guerra mediatica, sulle ricadute della guerra in Libano così come delle attività delle forze di opposizione. Last but not least, si consiglia di leggere i reportage del giornalista ed attivista Gabriele Del Grande, recatosi più volte nel nord della Siria[25]: le sue analisi si confermano estremamente ricche di informazioni e grande profondità.


[1] Per un’analisi più dettagliata sulle trasformazioni della Siria e le politiche dei governi occidentali e del Golfo rimando a due articoli pubblicati  di recente, Massimiliano Trentin, “La guerra in Siria e le difficoltà dei Paesi occidentali”, Scienza e Pace, Research Papers, n. 16, 2012; “Siria, una riflessione. Amara”, Connessioniprecarie.org, 18 marzo, 2013.

[2] http://www.jadaliyya.com

[3] Bassam Haddad, Business Networks in Syria. The Political Economy of Authoritarian Resilience, Stanford University Press, 2011. Questo dovrebbe essere comparato con altri due “classici” sulla Siria e il Partito Ba’th: Batatu, Syria’s Peasantry, the Descendants of Its Lesser Rural Notables, and Their Politics, Princeton University Press, 1999; Volker Perthes, The Political Economy of Syria Under Assad, I.B. Tauris, 1997

[4] http://www.merip.org

[5] http://www.economistes-arabes.org/Cercle_des_economistes_arabes/Accueil.html

[6] http://www.cesr.org/section.php?id=164

[7] http://scpr-syria.org

[8] http://www.joshualandis.com/blog/

[9] http://www.sana-syria.com/index_eng.html

[10] http://english.al-akhbar.com

[11] http://www.dailystar.com.lb/#axzz2Mw7WIWd5

[12] http://www.lorientlejour.com

[13] http://assafir.com/MulhakArticleList.aspx?EditionId=2405&MulhakId=5475

[14] http://www.al-monitor.com/pulse/home.html

[15] http://www.crisisgroup.org/en/regions/middle-east-north-africa/egypt-syria-lebanon/syria.aspx

[16] http://www.atimes.com/atimes/Middle_East.html

[17] http://carnegieendowment.org/regions/?fa=list&id=187, http://carnegieendowment.org/sada/

[18] http://mideast.foreignpolicy.com

[19] http://www.arab-reform.net

[20] http://www.german-foreign-policy.com. Si vedano anche le analisi dell’influente think tank berlinese Stiftung Wissenschaft und Politik, da sempre attivo nell’area medio orientale e il cui direttore, Volker Perthes, si è formato proprio sulla Siria, http://www.swp-berlin.org

[21] http://www.nikolaosvandam.com

[22] http://www.agenceglobal.com/index.php?authorPage=authorDetails&aid=129

[23] http://nena-news.globalist.it

[24] http://www.sirialibano.com

[25] http://fortresseurope.blogspot.it/search/label/Siria

 

 

 

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