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Le Mareas degli Indignados

 

a cura di T.N.

Pubblichiamo qui di seguito due documenti (elaborati all’interno del movimento degli Indignados) sull’esperienze di lotta di massa delle Mareas spagnole. Che cos’è una Marea? È un’organizzazione multicolore (per es. “bianca”, e cioè di medici, infermieri, lavoratori nel settore sanitario, etc; “verde” e cioè insegnanti, impiegati e lavoratori dell’educazione etc; e così di seguito) di massa che lotta mettendo assieme operatori e consumatori di un servizio (medico-sanitario, dell’istruzione, dei trasporti, etc).

Le Mareas, come si leggerà nei documenti presentati, organizzano autonomamente tempi e forme di lotta – attraverso le quali le esigenze dei lavoratori e i bisogni degli utenti si confondono, investendo la città e rinnovando, in tal modo, la figura e la funzione del sindacato. La Marea supera così ogni determinazione corporativa del sindacalismo moderno, allarga il concetto di settore e/o di difesa professionale ad ogni gruppo di lavoratori e/o di utenti di un servizio, soprattutto dei servizi di welfare, investe il territorio generalizzando la lotta a tutti i proletari nella metropoli.

Ci troviamo di fronte ad un nuovo modello di sindacalismo? Probabilmente sì – ma anche no, perché qui si percepisce che, accanto alla massificazione ed alla socializzazione dell’azione sindacale le iniziative delle Mareas vogliono porsi come strumenti costituenti, come potenze politiche di trasformazione sociale e di sperimentazione di gestione democratica del comune. Queste caratteristiche ci ricordano altre esperienze di lotta (per esempio le lotte delle infermiere ospedaliere in Francia nei primi anni ’90, quand’esse cercarono ed ottennero la solidarietà dei pazienti e delle loro famiglie; i grandi scioperi del 1995 dei lavoratori dei trasporti urbani di Parigi che riuscirono a mobilitare i trasporti privati della metropoli in sostituzione di quelli pubblici in sciopero…) e ci sollecitano anche a nuovi esperimenti di lotta (lo “sciopero precario”, la costruzione di reti di appoggio e di cooperazione territoriale nelle lotte della logistica, etc).

Nei documenti qui sotto pubblicati, si presentano anche solide obiezioni a queste esperienze ed alla loro modellizzazione. In particolare si obietta che queste Mareas sembrano possibili solo nelle imprese “pubbliche” di servizio, e solo quand’esse permettano un rapporto diretto, un “vis-à-vis”, tra lavoratori e utenti. Le istituzioni educative e sanitarie presentano tali opportunità ed ivi le lotte sono in effetti riuscite – ma già nei trasporti si son trovate grosse difficoltà. E poi quale garanzia di continuità senza le strutture sindacali? Non sarà meglio pensare ed utilizzare le Mareas come forza da sviluppare accanto a (e per formare) sindacati più combattivi?

A noi sembra che questo dibattito abbia un’eccezionale importanza. Le esperienze riportate nei documenti sono fondamentali, le obiezioni sensate ma non decisive. La discussione resta aperta.

Varrebbe inoltre la pena di aprire un altro problema. Abbiamo visto come il nuovo proletariato che nella crisi viene formandosi, possa organizzarsi in Marea. Lo spingono a ciò, passivamente, l’immiserimento delle classi medie, e, positivamente, la presa di coscienza della potenza cooperativa del lavoro cognitivo (che, nella sua forma tecnica, supera ogni barriera professionale). Quali forme di spontaneità sono proprie di questi movimenti? Quale grado di autonomia?

Teoricamente, varrebbe a questo punto aprire la ricerca attorno ai problemi di una nuova organizzazione sindacale e politica dei lavoratori e chiederci come ricomporre la frammentazione del nuovo proletariato, mantenendo la singolarità dei bisogni ma ricomponendola in una forza che rompa e squilibri il rapporto di capitale – che mostri dunque il lavoro vivo più forte del comando padronale. Come costruire una nuova, originale funzione sindacale? Che cosa significa, in questo contesto, sviluppare la forza di decidere e di produrre eventi come le Mareas? E come rendere permanenti queste forme di organizzazione di movimento? Su questi temi, cautamente, con metodo, dovremo riaprire presto la discussione.

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Mareas: un nuovo sindacalismo?

di MADRILONIA

Lo scorso mese di settembre il movimento della Marea Verde in difesa della scuola pubblica ha compiuto un anno. E a distanza di un anno possiamo affermare che quello delle Mareas non è un fenomeno isolato, ma costituisce una nuova realtà organizzativa. Vogliamo provare a individuare alcune delle sue caratteristiche per rispondere alla domanda iniziale: le mareas prefigurano un nuovo sindacalismo?

Dalla difesa del pubblico alle comunità

La differenza fondamentale del movimento delle Mareas rispetto al sindacalismo tradizionale è che queste non concepiscono più la difesa dei servizi pubblici come un conflitto corporativo legato esclusivamente alle rivendicazioni salariali delle lavoratrici e dei lavoratori. Il successo delle mobilitazioni della Marea Verde e della Marea Blanca contro i tagli economici è dovuto al fatto che sono state capaci di coinvolgere nelle loro lotte tutta la società. Se si fa appello alla comunità come difesa fondamentale dei servizi pubblici, si introduce l’idea che la salute e l’educazione sono questioni comuni che devono necessariamente essere difese da tutti.

Se è la società nella sua interezza che sente come suo un problema, ecco che si comincia a rompere la barriera tra chi usufruisce di un servizio e il personale che ci lavora. Si stabilisce l’idea fondamentale che centri di salute, scuole e ospedali sono spazi di tutti e per tutti. E si supera così l’idea che un servizio pubblico sia di esclusiva competenza dell’amministrazione pubblica.

Negli ultimi anni la retorica neocon ha attaccato i dipendenti pubblici accusandoli di esser dei privilegiati rispetto agli altri, di godere di condizioni di lavoro particolarmente vantaggiose, «pagate da tutti». Le Mareas hanno dimostrato però che non lottano solo per difendere degli interessi specifici e inoltre hanno reso evidente quanto sia avanzata la precarietà anche nell’impiego pubblico (lavoro interinale, subappalti, esternalizzazioni). I liberal-conservatori accusavano inoltre gli impiegati pubblici di essere dei «fannulloni», di «non fare niente», di essere dei «mangia pane a tradimento». Le Mareas hanno dimostrato che molti dipendenti pubblici tengono davvero e molto al loro lavoro e che sono disposti a rinunciare al salario (con gli scioperi) e al prestigio (dimettendosi da incarichi di responsabilità), per difendere il servizio che offrono.

Questa è un’apertura piena inoltre di relazioni, di complicità e intese costanti tra comunità e lavoratori che riproducono un legame sociale, un vincolo che favorisce l’appoggio alle lotte e che trasforma ogni persona in un co-partecipante alle mobilitazioni.

Sciopero serrato, occupazione della città e comunicazione

Nelle ultime settimane abbiamo visto intensificarsi la campagna per «regolarizzare il diritto di sciopero», e questo perché le Mareas hanno messo al centro l’idea dello sciopero serrato come uno dei meccanismi essenziali del conflitto.

Ovviamente per bloccare le dinamiche di riproduzione di un servizio pubblico è necessario interromperlo in maniera più o meno costante. Se nel caso della Marea Verde questo è stato inizialmente motivo di un acceso dibattito (sciopero a oltranza o sciopero momentaneo), nel caso della Marea Blanca lo sciopero a oltranza ha rappresentato la pratica abituale, e questa è riuscita a sostenersi puntando su due elementi che possono essere fondamentali per capirne il successo: un sistema di rotazione che distribuisce i costi economici degli scioperi e un’attenzione scrupolosa nell’assicurare la copertura dei servizi di assistenza sanitaria per quelle situazioni e persone che più ne hanno bisogno.

Questo sciopero a oltranza non si limita a interrompere il servizio, ma pone tutta una serie di questioni che riguardano la democrazia, la governabilità e il controllo dello spazio urbano e che puntano a imporsi nelle vertenze aperte con l’amministrazione pubblica.

Le Mareas occupano la città con grandi mobilitazioni di massa che bloccano il traffico e catturano l’attenzione dei mezzi di comunicazione mettendo in evidenza l’ingovernabilità della situazione. Si tratta di produrre disordine, di mostrare un’anomalia. Lo sciopero è accompagnato da serrate, azioni di disobbedienza civile e pressione sulle istituzioni che si esercita circondando l’Assemblea di Madrid (ossia il Parlamento autonomo), i palazzi del governo ecc.

Tutto questo lo si è costruito con una potenza comunicativa indipendente, capace di arrivare a un pubblico molto ampio attraverso i social network, ma utilizzando anche e in maniera diffusa strumenti più tradizionali come cartelli, striscioni, adesivi, magliette ecc. Quanto ai social network il loro utilizzo è particolarmente importante nel caso della Marea Blanca, dove non esiste un account ufficiale della Marea, ma ce ne sono tanti aperti nei diversi luoghi di conflitto, e l’idea stessa della Marea è un logo libero, comune, che può essere partecipato da tutti. Inoltre la strategia comunicativa per tutte e due le Mareas ha potuto contare su un’ampia produzione di sapere teorico-tecnico per poter controbattere punto per punto tutti gli argomenti utilizzati dalla Comunità autonoma di Madrid per giustificare i tagli.

Paradosso sindacale e democrazia organizzativa

È bene sottolineare il paradosso che si produce: più forti sono le strutture sindacali tradizionali nei servizi pubblici, più è difficile che trovino spazio le dinamiche innovative delle Mareas. Così la Marea Blanca che a priori (nonostante la presenza degli ordini professionali e dei sindacati corporativi) dovrebbe avere una forza sindacale minore rispetto a quella del settore dell’educazione pubblica, è invece in grado di produrre una dinamica conflittuale più importante.

Invece i servizi pubblici di trasporto e comunicazione che contano con livelli più alti di sindacalizzazione, trovano maggiori difficoltà a sviluppare questo tipo di pratiche e a produrre quella alleanza «lavoratori-utenti» che è la vera chiave di volta per lo sviluppo del conflitto. Nell’ultimo sciopero della Metro a Madrid abbiamo potuto vedere queste differenze: anche se le reti sociali hanno attivato i dispositivi e gli affetti di mutuo riconoscimento, comunque lo sciopero non si è configurato come Marea. Nei corridoi della metropolitana non ci sono cartelli scritti a mano che ci spiegano il conflitto, non c’è l’invito a una mobilitazione creativa, del tipo Yo no pago, per aumentare la partecipazione delle persone alla lotta e coinvolgerle in prima persona nel conflitto. Nei vagoni o alle uscite della metro non c’è il personale a spiegarti che stanno lottando per difendere un servizio pubblico e non solo per difendere un loro interesse corporativo. Qualcosa di simile accade anche con le lotte contro i tagli e i licenziamenti a Telemadrid (televisione pubblica della Comunità Autonoma di Madrid), dove molte sono le difficoltà a rendere comune una televisione che è stata la punta di diamante della manipolazione informativa (con l’opposizione, questo bisogna sottolinearlo, dei lavoratori e delle lavoratrici).

La Marea Verde chiaramente è stata attraversata fin dall’inizio dal conflitto che si è prodotto tra le istituzioni politiche tradizionali e le nuove forme di espressione politica sorte a partire dal 15M. Organizzata in maniera assembleare, nel quadro delle mobilitazione esplose con il 15M, tra precari, impiegati e quindi una parte del mondo della scuola, ha dovuto fare i conti con i sindacati maggioritari che se da un lato si mantenevano su posizioni di ascolto e favorivano la costituzione di spazi d’incontro, allo stesso tempo avrebbero voluto porsi alla testa del movimento ed essere gli interlocutori privilegiati rispetto alla Comunità autonoma di Madrid, anche se questa gli ignorava sistematicamente. I sindacati concertativi, che guardavano alla Marea con interesse, per la sua potenza, e con sospetto, perché questa potenza poteva mettere in crisi la loro egemonia, hanno cercato di limitare la portata delle mobilitazioni per timore di una sconfitta che gli avrebbe potuti far arretrare ulteriormente.

Possiamo sognare?

Proviamo a pensare a uno sviluppo di queste dinamiche delle Mareas come istituzioni socio-sindacali di nuova generazione. Si potrebbe pensare a strutture sindacali nelle quali l’insieme di quelli che non lavorano in un servizio pubblico ma ne usufruiscono abbiano diritto di parola e di voto? È possibile democratizzare le organizzazioni sindacali per metterle al servizio di una dinamica comunitaria? Che tipo di rivendicazioni si potrebbero produrre? Potremmo pensare a un nuovo sindacalismo che non sia più limitato solo alla difesa delle condizioni di vita dei lavoratori, ma impegnato anche nella difesa e nello sviluppo dei servizi pubblici? E in questo contesto che potere potrebbe avere la società? La proposta delle Mareas può essere estesa a settori che non siano quelli dell’impiego pubblico? Il sindacalismo, così come lo abbiamo conosciuto fino a oggi, può continuare a sopravvivere se non fa proprie queste posizioni?

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Maree sindacali e sindacati multicolori

Leggendo l’articolo di Madrilonia in cui ci si domanda se le maree possano essere una nuova forma di organizzazione socio-sindacale mi assale, come molte altre volte che visito questo sito, la sensazione che a forza di ricercare di un soggetto che sia politico, trasformatore, e – in sostanza – rivoluzionario a volte distorciamo, tiriamo o lustriamo la realtà finché arriva a trarci in inganno o a disorientarci.

Non é un rimprovero; la sinistra cerca questi soggetti in Occidente dagli anni cinquanta, con fortuna non costante, e nel resto del mondo praticamente dalla caduta dell’URSS o delle principali potenze non allineate (Egitto, Yugoslavia, Indonesia, ecc.). E se per qualche motivo siamo disorientati in Occidente é perché Piano Marshall, industria turistica e mezzi di comunicazione e marketing di massa ci hanno fatto rinunciare (da molto prima) a centralizzare il conflitto sulla produzione, per spostarlo sulle conseguenze del consumo o sulla legittimità delle costruzioni sociali e politiche. Arrivati a questo punto tornare a posizionare, come vorrebbero certe scuole di pensiero, la linea di espressione del conflitto di classe nell’insieme di lotte sindacali e sul lavoro sarebbe assurdo, semplicemente perché oggi il conflitto ha così tanti fronti (oggi più che mai) che concentrarsi su uno solo – per quanto importante possa essere – sarebbe poco proficuo.

Che cos’é quindi che non torna? Effettivamente le maree affrontano una questione, la relazione lavoro-consumo (in questo caso, impiegati pubblici-utilizzatori dei servizi), senza la mediazione del capitale o dello stato, in termini di novità non tanto per il concetto che sottintende, quanto per la dimensione in cui si manifesta. Lo fanno, inoltre, sulla linea di galleggiamento dello stato del welfare e del pubblico, dell’educazione, della sanità e dei servizi sociali; inoltre lo portano avanti con più successo in settori che sono stati refrattari all’azione sindacale di tipo tradizionale, specialmente nell’ambito sanitario. E lo ottengono, infine, in una maniera nuova, con tratti spontanei e (qui si esagera) alterando le dinamiche degli scioperi. Dunque, se davvero é tutto così valido, se tutto va verso la direzione giusta – “possiamo sognare?” si chiedono a Madrilonia, con le maree trasformate in “istituzioni sindacali di nuovo tipo” – che cos’é che non torna?

1. Madrilonia considera queste maree solamente rispetto all’esperienza accumulata nel settore pubblico. Pensare a queste dinamiche, come fa Madrilonia, come un esempio assimilabile ed esportabile ad altre situazioni semplicemente non é fattibile. Perché in effetti la maggior parte dei lavoratori non lo fa per la “comunità” ma anzi, nel pubblico e nel privato – e soprattutto in quest’ultimo – sopravvivono settori che alla comunità risultano inutili o sconosciuti. Un’ipotetica marea in certe aziende di servizi o in qualsiasi settore industriale dovrebbe partire dallo stabilimento di reti di organizzazione del consumo a livello globale.

2. Si considerano solamente attività di servizi diretti o vis á vis. E questa, che sembra una questione minore, è di gran lunga fondamentale: l’interazione faccia a faccia, che non é inoltre mediata da uno scambio monetario, é fondamentale per comprendere il successo delle maree. Quando l’utenza può vedere la precarietà in cui si svolge un lavoro, ascoltare il peggioramento delle condizioni di lavoro per un servizio che si considera un diritto e una necessità, allora é il momento di abbattere la barriera reale che stabilisce il binomio capitale-stato all’interazione lavoro-consumo.

È chiaro che questo meccanismo funziona solo con tali interazioni, faccia a faccia e non mediate. Man mano che i processi di produzione acquistano complessità, che si manifestano la necessità di formazione del capitale e il fattore intermediario di distribuzione di beni e servizi, le barriere comunicative si moltiplicano e l’interlocutore si dissolve. E a tutt’oggi, prima di inventarci qualcosa di nuovo o riciclare qualcosa di vecchio, l’unica interfaccia di relazione fra movimento operaio e società, per quanto arrugginita che sia, é il sindacalismo. Ovviamente un sindacalismo reale, impegnato e combattivo, e non aziende di servizi sul lavoro garantite costituzionalmente – su questo spero che siamo d’accordo.

3. Altri servizi pubblici non hanno quest’interazione faccia a faccia. È falso, e anche offensivo, insinuare che i lavoratori dei trasporti pubblici non desiderino il miglior servizio pubblico possibile; ci sono esempi a migliaia, e va bene Madrid, però guardo anche quello che ho più vicino a me, Saragozza. Nessuna rivendicazione dei lavoratori del trasporto pubblico nello stato spagnolo, che io sappia, é mai stata strettamente salariale o solo relativa alle condizioni di lavoro: ogni rivendicazione va di pari passo con una miglioria del servizio che si riporta alla società. Qui stiamo scivolando – e spero che i piedi di piombo aiutino a frenare – verso certe forme di elitarismo che non hanno nulla a che vedere con l’idoneità delle tattiche di lotta, ma molto con l’aura di rispettabilità di cui educazione e sanità godono tanto a livello sociale come nell’immaginario di molte minoranze attive. Sembrerebbe che Madrilonia percepisca le rivendicazioni di formulazione più “classica” all’interno del movimento operaio come démodé, mentre la valanga che segue la marea sia la miglior maniera di restare sulla cresta dell’onda.

Ma questa non é altro che un’illusione, frutto del disegno della stratificazione sociale da tempo proposto dal potere. In realtà non vedremo mai che in un’indagine si chieda alla cittadinanza se i lavoratori dell’industria alberghiera o della costruzione meritano più fiducia di politici, professori (della scuola pubblica, ovviamente) o medici, a livello di gruppi sociali e istituzioni. Il fattore della riflessività, la socializzazione o la performatività fanno in modo che neppure queste domande, fatte dal CIS (centro di ricerca sociologica, ndt), da Metroscopia o più in generale dal potere, siano neutrali, così come neppure la realtà che dipingono e di cui sono convinti.

Perché, non inganniamoci, quest’aura di rispettabilità non é stata guadagnata con le lotte, gli scioperi o le assemblee; viene al contrario dalla confluenza di due immaginari – quello progressista repubblicano che sacralizza il maestro (questo maestro odiato dai liberali progressisti come Enrique de Diego, dai fascisti come Astray o Mola,…) e la devozione borghese per il medico. Entrambi gli immaginari sono giustificati e giustificabili, però immaginari nati dal ruolo e dalla funzione di questi gruppi nella società (quelli che modellano la mente per creare cittadine e lavoratrici e quelli che vigilano i corpi), e non dalla loro capacità di proporre alternative.

Per questo, dato che la potenza delle maree ha una genealogia più confusa della mera confluenza dei lavoratori con la propria comunità, bisogna essere più cauti nel proporre il loro modello o nel confrontare la loro situazione con quella dei lavoratori del settore pubblico o privato, che in nessun caso potranno interagire con la propria “comunità” allo stesso livello dei lavoratori della Sanità o dell’Educazione. E che, anche nel caso di poterlo fare con successo, si posizionerebbero di fronte alla realtà di lavoratori di seconda classe, tanto per condizioni di lavoro quanto per il prestigio sociale che comporta la loro professione.

4. Un’ultima questione: le differenze interne e il ruolo della comunità come cortina di fumo. Se la Marea Bianca ha optato per un repertorio rivendicativo nuovo è in parte a causa di questa stessa differenza di radice tra il sindacalismo di classe (concertativo o combattivo, però di classe) e quello corporativo, che è maggioritario nella sanità. Mentre nell’Educazione le differenze interne (socio-strutturali non ideologiche) nella Marea Verde sono minime (Docenti – PAS e i diversi gradi di accesso alla funzione pubblica) e le differenze nella mobilitazione derivano da ragioni ideologiche o motivazioni previe (allineamento nelle strutture), nella sanità un previo e insanabile conflitto di status ricorre le rivendicazioni della Marea Bianca; un conflitto che segnerà la sopravvivenza della Marea e che non è altro che la gerarchia interna dei professionisti nei servizi della salute.

Credo che nessuno si sorprenda o si offenda se dico che i medici hanno interessi oggettivi e soggettivi distinti da quelli degli ausiliari, degli infermieri, dei custodi, dei terapisti, ecc. e che le discrepanze all’interno di questo collettivo sono cosa rara. Mi riferisco, per esempio, alla differenza che fa sì che il collettivo medico lavori a reperibilità, mentre quello di infermeria lavora a turni. O alle porte girevoli che con molta più frequenza esistono tra medicina pubblica, politica e settore privato.

Non intendo negare che le esperienze comuni di lotta creano coscienza e che questa sia capace di rompere con tali dinamiche che collocano spesso certi collettivi, come i medici, in una zona ambigua riguardo la loro definizione sociale e politica. E tuttavia porre l’attenzione su questo e segnalare il rischio che suppone non in vista del cammino verso l’unità d’azione tra le maree (un’unità di rottura, anticapitalistica, così desiderabile ma oggi inattuabile) ma per la mera difesa congiunta del pubblico, è un’azione necessaria.

Perché, al giorno d’oggi, le maree seguono i due percorsi che seguono e non altri: la coscienza della loro propria sconfitta o di una vittoria di breve periodo e contro ogni pronostico. Il movimento che le alimenta, al contrario, ha uno sviluppo molto ampio, dove si troveranno sindacati di ogni tipo, utilizzatori dei servizi, polizia, politica, imprese, ecc. Però questa non sarà la lotta sindacale, né la lotta operaia; sarà, con la nuova forma che adottano le maree, un conflitto in più, nel quale, tra tutte, potremo sperimentare nuove esperienze di lotta e solidarietà che, tanto nella loro forma che nella loro scala, ci risultano oggi sconosciute.

Per terminare e riassumere: le maree valgono per quello che valgono. Per i servizi pubblici, vis á vis, dove lo scambio economico non è evidente e a seconda del grado di rispettabilità che abbia la professione che si rivendica. Per il resto dei conflitti sul lavoro dovremo continuare a inventarci nuove forme di mobilitazione per mano dei sindacati combattivi, che potranno rifornirsi in parte dalle maree ma che mai, per la loro stessa natura, potranno ridursi a una rappresentazione al ritorno concertato al 2007; una rappresentazione molto ben riuscita, questo sì.

 

 

 

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