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Lezione sul capitolo VI inedito

Posted By Anna On January 16, 2011 @ 2:46 pm In Italiano,Saggi | Comments Disabled

di STEFANO LUCARELLI 

Le merci come prodotto del capitale

 

Il manoscritto comincia con un capitolo dedicato a “Le merci come prodotto del capitale”. Marx però avverte in una nota che nella redazione definitiva questo I paragrafo va messo non all’inizio ma al termine, perché costituisce il ponte di passaggio a II Libro – Processo di circolazione del capitale.

L’incipit è ancora la merce:

 

La merce, come forma elementare della ricchezza borghese era stata il nostro punto di partenza: il presupposto della formazione del capitale. D’altra parte, le merci appaiono ora come il prodotto del capitale.

 

***

Il primo capitolo del libro I del Capitale era stato dedicato alla merce. Lì la merce rappresentava innanzitutto un’esigenza all’interno del ragionamento scientifico condotto da Marx per afferrare il capitale. La merce nella sua concretezza (Konkretum der Ware) era infatti un punto di partenza dal quale sviluppare le categorie di tutta la realtà capitalistica.

Marx era partito innanzitutto dalla merce vista come “cosa che mediante le sue proprietà soddisfa bisogni umani”, cioè valore d’uso.

 

L’utilità di una cosa ne fa un valore d’uso. Ma questa utilità non aleggia nell’aria. È un portato delle proprietà del corpo della merce e non esiste senza di esso. Il corpo della merce stesso […] è quindi un valore d’uso, ossia un bene.

 

Aveva poi notato come i valori d’uso non esauriscano la natura della merce. Questa, esaminata dal punto di vista dei valori d’uso, rimanda ai valori di scambio.

 

Nella forma di società che noi dobbiamo considerare i valori d’uso costituiscono insieme i portatori materiali del valore di scambio.

 

L’astrazione dai valori d’uso è un’esigenza reale. Senza questa astrazione non si può comprendere ciò che accade nella forma di società del capitale. Nel capitalismo (immane accolta di merci) l’astrazione dai valori d’uso caratterizza il rapporto di scambio delle merci. Ma lo studio della merce in quanto valore di scambio conduce allo studio dei rapporti quantitativi che regolano lo scambio tra diversi beni. La merce vista nelle sue relazioni di scambio conduce ad analizzare quel qualcosa di comune che rende possibile lo scambio, cioè il valore. Il valore è ciò che rende possibile la relazione di equivalenza fra beni che si scambiano. Nel valore di scambio della merce si manifesta il valore della stessa merce. Questo valore esprime uguale lavoro umano (dispendio di  lavoro umano in generale). Le merci venute al mondo sotto forma di valori d’uso assumono forma di valore, in quanto cristallizzazioni di lavoro umano, la cui forma fenomenica necessaria è il denaro. Per questa via si giunge alla formazione del capitale. Laddove il capitale calca la scena, esso si presenta come denaro. E laddove il capitale calca la scena il denaro «è già capitale per sua destinazione». Pertanto la merce è il presupposto della formazione del capitale.

***

 

Marx non si limita a ricordare che la merce è presupposto della formazione del capitale, ma rileva che “le merci appaiono ora come il prodotto del capitale.” Per comprendere cosa significa quell’ora occorre aver chiaro lo schema di disposizione di massima del Libro I (pagina 1110 del manoscritto Zur Kritic):

 

La prima sezione: il processo di produzione del capitale va così divisa: 1) Introduzione. Merce, denaro. 2) Trasformazione del denaro in capitale. 3) il plusvalore assoluto…4) il plusvalore relativo. 5) Combinazione del plusvalore relativo e del plusvalore assoluto. 6) Ritrasformazione del plusvalore in capitale. L’accumulazione primitiva. La teoria coloniale di Wakefied. 7) Risultato del processo di produzione. […]

 

Nella prima edizione del Libro I,  Merce e denaro diventa un’introduzione a sé stante, e i capitoli si riducono così a 5 + l’inedito sul “Risultato del processo di produzione”. Per questo il capitolo sul “Risultato del processo di produzione” è stato ribattezzato capitolo VI inedito[1].

Riconoscere nella merce sia il punto di partenza (in quanto presupposto della formazione del capitale) che il punto di arrivo (in quanto prodotto del capitale) conduce a definire l’analisi del capitale come analisi di un circolo. Questo corrisponde allo sviluppo storico del capitale. Il capitale si sviluppa a partire dalla merce sino alla merce.

Tuttavia la merce non è l’unico presupposto elementare del capitale:

“La formazione di capitale non può avvenire che sulla base della circolazione delle merci (la quale include la circolazione del denaro)” (p. 103  [441]).

Più avanti (p. 104 [442]) Marx ricorda che il denaro è solo una forma modificata della merce.[2]

I presupposti elementari del capitale (merce e denaro) si sviluppano in capitale “solo in date condizioni”, cioè “sulla base di un già esistente grado di estensione del commercio”.

Solo nel modo di produzione capitalistico, che si afferma ad un dato grado di estensione del commercio, la merce diventa forma elementare generale del prodotto: il capitale – il cui presupposto sta nella merce – genera necessariamente come merce il suo prodotto.

In effetti è solo nel modo di produzione capitalistico che la forza lavoro si converte in merce: ciò significa che non è in vendita il prodotto del lavoro dell’artigiano, ma la capacità lavorativa del lavoratore. È questo che sancisce nello stesso tempo la produzione di merci “in tutta la sua ampiezza, profondità ed estensione” insieme ala trasformazione del denaro in capitale. In sintesi: è “soltanto con l’apparire della produzione capitalistica, che il valore d’uso è universalmente mediato dal valore di scambio.” (p. 105 [442]).

È significativo che questo risultato sia descritto da Marx attraverso uno schema che rimanda alle narrazioni storiche svolte nei capitoli precedenti (il capitolo ottavo e soprattutto il capitolo dodicesimo, cfr. infra nota 4):

 

Solo quando la popolazione lavoratrice abbia cessato di far parte essa stessa delle condizioni obiettive del lavoratore, o di accedere al mercato come produttrice di merci, e invece del prodotto del suo lavoro venda il suo stesso lavoro o meglio la sua stessa capacità lavorativa, solo allora la produzione diviene in tutta la sua ampiezza, profondità ed estensione produzione di merci; solo allora ogni prodotto diventa merce e le stesse condizioni materiali di ogni singola sfera della produzione vi entrano come merci. In realtà, la merce non diviene la forma elementare generale della ricchezza che sulla base della produzione capitalistica. (p. 104 [442])

 

Il comprendere le merci come prodotto del capitale chiarisce anche l’incipit del Capitale: la merce forma generale della produzione borghese presuppone a sua volta la produzione capitalistica.[3]

 

La merce come forma necessaria del prodotto, e quindi l’alienazione del prodotto come forma necessaria della sua appropriazione, presumono una divisione del lavoro sociale pienamente sviluppata, mentre d’altra parte solo sulla base della produzione capitalistica , e perciò anche della divisione capitalistica del lavoro entro la fabbrica, ogni prodotto assume necessariamente la forma di merce e, di conseguenza, tutti i produttori sono, necessariamente, produttori di merci.

 

Marx sintetizza in tre punti lo schema analitico (già in nuce nelle narrazioni storiche presenti nel Capitale[4]):

1) solo la produzione capitalistica fa della merce la forma generale di ogni prodotto.

2) solo la produzione di merci conduce necessariamente alla produzione capitalistica non appena la forza-lavoro sia essa stessa divenuta, generalmente, merce. Corollario di questa legge è che il lavoratore sia libero senza essere base di una comunità naturale.

3) La produzione capitalistica distrugge la base stessa della produzione mercantile semplice. Infatti lo scambio fra capitale e forza-lavoro diventa la regola.

Gli esempi specifici che Marx predilige in queste pagine riguardano l’agricoltura (il farmer): laddove la produzione capitalistica si insedia nelle campagne, il grano, il bestiame, le sementi, così come le condizioni della produzione sono pensate come merci quindi – in un’ottica di valorizzazione, cioè come merci comperate e comperabili – sono anche calcolati come grandezze monetarie, “in quanto articoli, mezzi di lavoro, che formano nello stesso tempo parti di valore del suo capitale. (E quindi, come produttore, egli le calcola come in sé vendute anche quando le restituisce in natura alla produzione)” (p. 107 [443]).[5]

E’ qui già espresso il nesso che intercorre tra la merce in quanto prodotto del capitale e la forma ideale di denaro. Su questo punto Marx è ancora più chiaro nelle pagine successive:

il valore di scambio della merce deve aver ricevuto una forma diversa e autonoma dal suo valore d’uso (per quanto ideale)

 

deve cioè apparire come unità (tuttavia sdoppiata) di valore d’uso e di valore di scambio; e il suo valore di scambio riceve forma autonoma, indipendente dal valore d’uso – come pura esistenza del tempo di lavoro sociale oggettivato – nel prezzo, questa espressione del valore di scambio come puro valore di scambio; quindi nel denaro; quindi, in realtà, nella moneta di conto. (p. 109 [445]).

 

Nel capitolo terzo Marx aveva definito i prezzi – dal punto di vista del comemrciante – quali “occhi amorosi con cui le merci ammiccano al denaro”, forme di denaro ideale attaccate alla merce.

Il prezzo in genere non è qui che l’espressione monetaria del valore (p. 121 [453]).

 

Ora la merce si presenta in forma duplice

Il carattere di massa del prodotto imprime al prodotto un carattere sociale strettamente legato ai rapporti sociali. Ciò che si oggettiva nella merce, a prescindere dal suo valore d’uso, è un certo quantitativo di lavoro socialmente necessario; tuttavia la merce in quanto prodotto del capitale non lascia irrisolto il problema della provenienza del lavoro in essa oggettivato (questa è la grande novità rispetto alla merce in quanto tale):

 

nella merce è oggettivata una somma totale di lavoro, e una parte di questo lavoro oggettivato (prescindendo dal capitale costante, per il quale si paga un equivalente) è scambiata contro l’equivalente del salario, mentre l’altra il capitalista se l’appropria senza alcun equivalente. (p. 108 [444]).

 

Inoltre la merce singola appare come parte del prodotto totale del capitale, non come merce indipendente, ma parte di “una massa di merci in cui si è riprodotto il valore del capitale anticipato + il plusvalore, cioè il pluslavoro estorto” (ibidem). Il lavoro speso in ogni singola merce vale solo come valore ideale, quindi non entra nel conto.

La merce si mostra nella vendita, secondo il punto di vista del commerciante, come passaggio necessario alla realizzazione del valore-capitale e del plusvalore da esso prodotto (“cosa che non si ottiene vendendo al valore loro proprio le singole merci o parti di esse” (p. 108 [445])). Marx prescinde completamente dalla vendita di singole porzioni della massa di merci al di sopra o al di sotto del loro valore: in generale le merci di vendono al loro valore. (p. 122 [454])

E’ questa la strada per svelare il rapporto sociale che rende possibile la produzione capitalistica!

 

La determinazione del valore della merce singola

Marx ragiona come se l’intero capitale, compresa la parte di capitale costante che entra completamente nel prodotto solo nel lungo periodo, fosse (tra)passato senza residui nel prodotto del capitale totale da analizzare. Il valore che il capitale costante (lavoro morto si potrebbe dire) apporta è già dato. Invece il valore del lavoro aggiunto ex novo dipende dalla sua quantità, non dalle condizioni in cui viene retribuito.

Non è più il lavoro impiegato sulla singola merce, ma il valore totale diviso per il numero dei prodotti ciò che determina il valore del singolo prodotto. Pertanto il valore della singola merce si determina dividendo il prezzo totale del prodotto totale per il numero di parti in cui (a seconda dell’unità di misura, per es. quarter, metri, quintali…) il prodotto si suddivide.

Marx considera prima il caso in cui il prezzo della merce diminuisce in seguito ad un aumento della forza produttiva del lavoro. Ciò comporta che la stessa quantità di lavoro sarà distribuita su una maggiore quantità di prodotti.

Viene poi considerato il caso in cui la forza produttiva del lavoro varia per cause esogene (una stagione propizia o sfavorevole). Ciò comporta che lo stesso lavoro si rappresenta in quantità molto diverse a seconda della quantità prodotta. Tuttavia la variazione nei prezzi delle singole merci prodotte non modifica il saggio di plusvalore o il rapporto in cui la intera giornata lavorativa si ripartisce in lavoro pagato e non pagato, “perché la stessa quantità di lavoro vivo è stata applicata prima e poi al capitale costante” (p. 114 [448]).

 

Malgrado la variazione nei prezzi delle merci derivante da una diversa produttività del lavoro, malgrado una caduta dei prezzi delle merci o una maggiore accessibilità di queste sul mercato, il rapporto fra lavoro pagato e non pagato e, in generale il saggio di plusvalore realizzato dal capitale possono rimanere costanti (p. 115 [449]).

 

[A] sua volta una costanza nei prezzi delle merci non esclude una variazione del saggio di plusvalore, della ripartizione proporzionale de nuovo lavoro aggiunto in pagato e non pagato.  (ibidem)

 

Marx dimostra queste due proposizioni con degli esempi numerici.

Il punto è che la relazione che intercorre fra il prezzo della merce e il saggio di plusvalore non  svela i rapporti sociali che  reggono la produzione della merce:

 

I prezzi delle merci in generale, come si è visto trattando della produzione di plusvalore, influiscono su quest’ultimo nella sola misura in cui entrano nei costi di riproduzione della forza lavoro e quindi incidono sul suo valore; incidenza che, in periodi più brevi, può essere paralizzata da influenze opposte. (p. 120 [453]).

 

Ciò che conta davvero è l’analisi del lavoro vivo (che mette in moto il capitale costante) messo in moto di volta in volta dal capitale variabile:

 

un capitale variabile di una data grandezza di valore non mette sempre in moto le stesse quantità di lavoro vivo e, quando lo si consideri come puro simbolo delle quantità di lavoro messe in movimento, è un simbolo di grandezza variabile. (p. 121 [453])

 

Necessità della continua espansione del mercato

Marx sta preparando il terreno per seguire il processo di produzione e circolazione capitalistico. Pertanto si concentra sulla merce in quanto depositaria del capitale anticipato per la sua produzione e fa considerazioni importanti sul problema della realizzazione: la merce portata a vendere non può essere venduta come singola merce, ma come parte della massa delle merci per cui si è anticipato il capitale:

 

Già qui risulta chiaro che, poiché con lo sviluppo della produzione capitalistica e la riduzione del prezzo delle merci ad esso conseguente la loro massa cresce, aumenta il numero delle merci che devono essere vendute. (p. 123 [455])

 

L’espansione del mercato si presenta come una necessità per la produzione capitalistica.

 

***

Marx considera necessario un chiarimento e richiama i capitoli sesto e settimo, a proposito di capitale costante (C), capitale variabile (V) e plusvalore (P) Nella argomentazione lì esposta sorge un’apparente contraddizione:

  1. Le diverse parti di valore del prodotto del capitale C+V+P si rappresentano nelle loro parti proporzionali in ogni singola merce come parte del valore d’uso totale prodotto e come parte del valore totale prodotto.
  2. Ma anche il prodotto totale può essere diviso in date porzioni C+V+P del valore d’uso prodotto. In tal caso è come se le singole merci rappresentassero solo lavoro oggettivato prima del processo di produzione.

La contraddizione viene meno se non guarda alla merce singola, ma alla merce come prodotto del capitale totale.

 

Proudhon cade in confusione proprio per questo. La contraddizione assume in Proudhon la forma di una domanda: come è possibile che la classe lavoratrice con un’entrata settimanale pari soltanto al salario comperi una massa di merci pari a salario + plusvalore?

 

Proudhon ha perfettamente ragione, per quanto concerne l’apparenza. Ma se, invece di considerare la merce a sé la considerasse come prodotto del capitale, egli troverebbe che il prodotto settimanale si divide in una parte il cui prezzo (= al salario, al capitale variabile speso durante la settimana) non contiene nessun plusvalore, e in un’altra il cui prezzo equivale soltanto al plusvalore ecc. Sebbene il prezzo della merce includa tutti quegli elementi, è appunto solo la prim parte quella che l’operaio riacquista (p. 128 [457]).

 

Le merci – depositarie del capitale – si vendono al loro valore. Qui sta la vera sopraffazione del capitale sulla classe dei lavoratori.

 

La produzione capitalistica come produzione di plusvalore.

Punto di partenza della formazione del capitale è il denaro, cioè “somma di valori di scambio nella sua espressione monetaria” che deve valorizzarsi[6].

La forma di denaro sembrerebbe essere una condizione storica di annichilimento dei valori d’uso, “espressione originariamente semplice di valore”.

 

In questa espressione originariamente semplice di valore o di denaro in cui il capitale (ciò che deve diventare capitale) si presenta, e nella quale si astrae da qualunque rapporto col valore d’uso ed ogni rapporto col valore d’uso è obliterato, spariscono però anche tutte le interferenze perturbatrici e tutti gli ulteriori elementi di confusione del reale processo produttivo (produzione di merci, ecc.) e la natura specifica, caratteristica, del processo di produzione capitalistico si disvela in modo altrettanto astrattamente semplice. (p. 4 [459])

 

Lo scopo del processo è che una grandezza data di denaro si trasformi in un’altra grandezza contenente un elemento variabile. Si tratta di scoprire questo elemento.

L’elemento variabile proprio del capitale è il capitale variabile (V). La porzione in cui V cresce è il saggio di plusvalore. La porzione in cui il capitale cresce è il saggio di profitto.

La vera funzione del capitale in quanto capitale è la produzione di plusvalore. Per far ciò il denaro deve trasformarsi nei fattori del processo di produzione, e prima di tutto nei fattori reali del processo lavorativo (p. 7 [461]).

Anche il processo produttivo (come la merce) è duplice, è infatti unità immediata del processo lavorativo e processo di valorizzazione.

Commenta Napoleoni:

 

Marx dice che c’è unità immediata tra processo lavorativo e processo di valorizzazione; e ciò nel senso che non si tratta di due processi diversi, ma di due aspetti di un processo unico visto una volta nella sua determinazione naturale, e un’altra volta nella sua determinazione sociale; una volta per ciò che esso ha di generico, o comune al processo produttivo in generale, indipendentemente dalla forma della società, e un’altra volta per ciò che esso ha di specifico ossia di storicamente determinato.

 

[Il processo di produzione capitalistico dal punto di vista del valore d’uso dei suoi componenti]

All’interno del processo d produzione immediato il capitale riveste la duplice forma di valore d’uso e di valore di scambio.

La determinazione del valore d’uso delle merci operanti nel processo di produzione è essenziale ai fini dello sviluppo del rapporto economico:

i valori d’uso che entrano nel processo lavorativo si distinguono in condizioni oggettive della produzione (mezzi di produzione materiali) e in capacità lavorativa in atto (la condizione soggettiva della produzione).

 

Una parte del valore d’uso in cui il capitale appare all’interno del processo di produzione è la stessa forza-lavoro viva, ma come forza-lavoro di una specificazione determinata, conforme al particolare valore d’uso dei mezzi di produzione, e come forza-lavoro in atto, forza-lavoro esplicatesi in modo utile, che fa dei mezzi di produzione gli elementi materiali della sua attività e, così operando, modifica la forma originaria del valore d’uso della nuova forma del prodotto. (p. 9, [461])

 

Il carattere potenziale della forza lavoro rende in atto ciò che nell’interazione tra condizioni oggettive e soggettive della produzione è solo in potenza. Il lavoro vivo appartiene al capitale come gli appartengono gli impianti, tuttavia vi è una differenza specifica:

 

il lavoro reale è ciò che l’operaio fornisce al capitalista come equivalente della parte di capitale trasformato in salario, del prezzo di acquisto del lavoro. È l’esplicazione della sua energia vitale [Lebenskraft], la realizzazione delle sue capacità di produzione, il suo movimento; suo, non del capitalista. Considerato come funzione personale, nella sua realtà, il lavoro non è funzione del capitalista, è funzione dell’operaio. Di qui l’antitesi in forza della quale, all’interno del processo lavorativo, una volta realizzatosi lo scambio, le condizioni oggettive del lavoro, in quanto capitale (e, in questa misura, in quanto esistenza del capitalista), si ergono di fronte alla condizione soggettiva del lavoro, al lavoro stesso, o meglio all’operaio che lavora (p. 12 [463]).

 

Le condizioni oggettive appaiono come mezzi di comando sul lavoro vivo, sono ciò che obbliga il lavoratore a piegare la sua energia vitale al fluire del processo produttivo. La capacità lavorativa è il vero vincolo interno al processo produttivo e precede l’esistenza del capitale. Più avanti Marx scrive che “la produttività del capitale consiste anzitutto – se si considera la sottomissione formale – nella pura e semplice costrizione al pluslavoro” (p. 89 [490].)

La trasformazione del denaro in capitale è possibile per la specifica azione trasformatrice che il valore d’uso del lavoro vivo (come classe operaia?[7]) esercita sul lavoro oggettivato che così si trasforma da corpo morto a flusso nell’ambito di un processo di valorizzazione.

 

Considerato nella sua forma reale, il denaro, ovvero la parte di capitale che il capitalista spende nell’acquistare forza-lavoro viva, non rappresenta null’altro che i mezzi d sussistenza presenti sul mercato […] che entrano nel consumo individuale dell’operaio. Il denaro è soltanto la forma modificata di questi mezzi di sussistenza; e l’operaio, non appena l’abbia ricevuto, lo riconverte in mezzi di sussistenza. Questa riconversione […] è un processo che non ha nulla a che vedere direttamente con il processo di produzione immediato, più precisamente con il processo lavorativo, ma si compie al di fuori di esso. (p. 13 [463]).

 

I mezzi di sussistenza si presentano come merci frutto della produzione. Provengono dal capitale e si oppongono anch’essi alla capacità lavorativa vivente.



[1] Le stesure successive del Libro I furono molto rimaneggiate: 7 sezioni (suddivise a loro volta in capitoli) presero il posto dell’Introduzione e dei 6 capitoli della prima edizione:

1) Merce e denaro; 2) La trasformazione del denaro in capitale; 3) La produzione del plusvalore assoluto; 4) La produzione del plusvalore relativo; 5) La produzione del plusvalore assoluto e del plusvalore relativo; 6) Il salario; 7) Il processo di accumulazione del capitale.

 

[2] Nel capitolo terzo “Il denaro ossia la circolazione delle merci” Marx aveva dimostrato come il denaro fosse concepibile in quanto misura di valore, forma fenomenica necessaria della misura immanente di valore delle merci, del tempo di lavoro. Nella circolazione M-D-M, il denaro viene trasformato in merce che serve come valore d’uso; nella circolazione D-M-D, il denaro è forma autonoma del valore, punto di partenza e di arrivo della valorizzazione. Il procedere del denaro definisce il capitale. Eppure, nella circolazione D-M-D, merce e denaro funzionano come differenti modi di esistere del valore stesso. Il valore si espande attraverso l’assunzione ora della forma di denaro, ora della forma di merce, ma possiede una forma autonoma solo nel denaro. Il denaro è il valore delle merci divenuto indipendente. Senza l’assunzione della forma di merce il denaro non diventa capitale.

 

[3] Come spiegato da Massimiliano Tomba: “Il problema marxiano del cominciamento non è quello hegeliano. Se Hegel ha la necessità di cominciare da un ‘principio astratto, imperfetto, per trovare il cammino del concreto’, Marx non parte né dall’astratto né dal concreto. Marx prende le mosse dalla merce nella sua concretezza […] Iniziare dalla merce nella sua concretezza significa iniziare dal suo valore d’uso, per scoprire lo specifico valore d’uso capitalistico del valore d’uso: quello della tecnologia e delle macchine, mai neutrali, ma dotate di una natura mortifera che deriva loro dall’essere parte integrante dell’estorsione di pluslavoro.”

 

[4] “La cooperazione che poggia sulla divisione del lavoro si crea la propria figura classica nella manifattura, e predomina come forma caratteristica del processo di produzione capitalistico durante il vero e proprio periodo della manifattura, il quale, così all’ingrosso, va dalla metà del secolo XVI all’ultimo terzo del diciottesimo” […] “Per intendere esattamente la divisione del lavoro nella manifattura è d’importanza essenziale tener fermo ai punti seguenti: in primo luogo, qui l’analisi del processo di produzione nelle sue fasi principali coincide completamente con la disgregazione d’una attività artigianale nelle sue differenti operazioni parziali. Composta o semplice l’operazione rimane artigianale, e quindi dipendente dalla forza, dalla abilità, dalla sveltezza e dalla sicurezza dell’operaio singolo nel maneggio del suo strumento. Il mestiere rimane la base.” […] “Dopo che le diverse operazioni sono state separate, rese indipendenti ed isolate, gli operai vengono suddivisi, classificati e raggruppati a seconda delle loro qualità prevalenti. Le loro particolarità naturali costituiscono il tronco sul quale s’innesta la divisione del lavoro, ma poi la manifattura sviluppa, una volta che sia tata introdotta, forze lavoro che per natura sono adatte soltanto a una funzione particolare unilaterale. […] La manifattura genera in ogni mestiere che afferra una classe di cosiddetti operai senza abilità, la quale era rigorosamente esclusa nella condizione a tipo artigianale.”

 

[5] Nella lezione sul capitolo terzo Riccardo Bellofiore aveva sostenuto che il denaro è l’idea delle merci che ha in testa il loro proprietario. Il punto è ben chiarito per esempio in Bellofiore 2007 (“Quelli del lavoro vivo” in Da Marx a Marx?, manifestolibri, p. 221): “per Marx le merci non sono commensurabili grazie al denaro. Al contrario, proprio perché le merci sono già commensurabili ‘in sé e per sé’ esse misurano i propri valori, in comune, nel denaro. Tale commensurabilità presupposta discende da ciò, che il valore è già, prima dello scambio finale effettivo, denaro: denaro ‘immaginato’.”

 

[6] L’operaismo insiste sul primato attribuito alla forma denaro, in quanto a partire immediatamente dal denaro può essere messa in luce immediatamente la non equivalenza nello scambio libero fra lavoro e capitale. “Porre il denaro a rappresentare la forma del valore significa riconoscere che il denaro è la forma esclusiva del funzionamento della legge del valore. Significa riconoscere che esso è il terreno immediato della critica. […] Nella forma denaro la legge del valore si presenta 1) in crisi, 2) in maniera antagonistica, 3) su una dimensione sociale.” (Negri, Marx oltre Marx, 1979, pp. 35-36)

[7] “Quindi per Marx è indubbio che il rapporto di classe esiste già in sé nell’atto della circolazione. E’ proprio questo che rivela, fa venir fuori, durante il processo di produzione, il rapporto capitalistico. Il rapporto di classe precede, dunque, provoca, produce il rapporto capitalistico. Anzi: è l’esistenza del rapporto di classe che rende possibile la trasformazione del denaro in capitale” (Tronti, Operai e capitale, 1971, p. 149)



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