Maledetta democrazia
di ANDREA FUMAGALLI
I mercati finanziari sono entrati in una nuova fase di turbolenza. E non è una turbolenza del tutto negativa. Dalle votazioni che hanno interessato Grecia, Francia e Germania possiamo trarre qualche indicazione. Vediamo quale. In Grecia, le elezioni hanno segnato il crollo delle formazioni politiche che si erano chinate ai diktat della troika economica, dopo l’approvazione di 5 leggi di stabilità e l’accordo per la ristrutturazione del debito (https://uninomade.org/lezioni-di-default-dalla-crisi-greca/) pagato a carissimo prezzo dalla popolazione. Il risultato, non del tutto scontato, è che non si sono solo avvantaggiate formazioni politiche anti-euro (a destra come a sinistra), ma soprattutto si è imposta alla ribalta nazionale e internazionale la coalizione della sinistra radicale Syriza). Si tratta di una forza non disponibile a firmare il memorandum ma a favore di un’idea di Europa diversa di quella attuale: ha ottenuto quasi il 20%, diventando il primo partito di Atene e dell’Attica, regione dove vive il 40% della popolazione greca. Nel caso di nuove elezioni a Giugno, i sondaggi danno Syriza in vantaggio con oltre il 27% dei consensi. Si tratta di una situazione anomala in Europa. Per la prima volta, una formazione politica dichiaratamente anti-liberista (ma pro Euro, come i sondaggi dicono essere la maggioranza della popolazione greca, circa il 57%) arriva a ottenere un consenso tale da mettere in discussione quelle politiche restrittive che solitamente vengono supinamente accettate come ineludibili dai partiti di governo, sia di destra che di sinistra, che “tecnici”. Sappiamo che la Grecia, che rappresenta meno del 5% del Pil europeo, non costituisce un banco di prova sufficientemente forte da incidere sui rapporti di forza a livello europeo.
Ma l’isteria politica e finanziaria – tipicamente da shock economy - che ha fatto seguito ad un possibile nuovo ricorso a elezioni democratiche (solitamente imposte con la guerra fuori dall’Europa, ma sempre più considerate pericolose se non inutili all’interno dei confini europei) la dice lunga.
Alla situazione della Grecia si è aggiunto, in Francia, il cambio di guardia all’Eliseo. La vittoria di Hollande alle elezioni francesi rappresenta un nuovo smacco per le politiche d’austerity a salvaguardia del capitale finanziario internazionale. La governance economica europea improntata sull’asse franco-tedesca, con il supporto del governo Monti, scricchiola anche in casa tedesca con la pesante sconfitta elettorale subita dalla cancelliera Merkel nel NordRhein-Westfalien. Tuttavia non ci si deve fare troppe illusioni. E’ probabile che il termine “crescita”, già fino ad oggi fin troppo abusato per coprire come un pannicello caldo fredde politiche draconiane di riduzione dei debiti pubblici, diventerà un mantra costante nei prossimi mesi, più virtuale che reale, più enfatico che sincero, tutto finalizzato a rassicurare i mercati finanziari e valutari, a partire dal G8 di Camp David appena svoltosi.
L’annuncio che in Grecia si voterà di nuovo il prossimo 17 giugno ha ulteriormente alimentato la tensione dei mercati finanziari, inducendo nuove possibilità di attività speculative al ribasso sui titoli di debito pubblico per lucrare potenziali plusvalenze sui derivati ad essi connessi.
Ma si tratta di un gioco sulla lama del rasoio (knife edge Ponzi game), alimentato anche dalla crescente competizione sui mercati finanziari globali tra le due sponde dell’atlantico. Da questo punto di vista, le perdite di circa 3 miliardi di dollari di JP Morgan mostrano che la speculazione sul debito pubblico europeo può avere anche conseguenze nefaste, soprattutto per chi, a differenza di Deutsche Bank e Goldman Sachs, si è mosso con notevole ritardo. Ma le perdite di JP Morgan, solo in parte attribuibili a scelte di investimento errate, evidenziano anche che la crisi europea, con i suoi effetti domino sulla tenuta delle economie reali di mezzo mondo, rischia di diventare un boomerang sul modello già sperimentato a fine 2008 con il fallimento di Lehman Br., nel bel mezzo della crisi dei sub-prime.
Chi di crisi ferisce, rischia quindi anche di perire, a conferma che paventare il default può ottenere risultati insperati. Tutti gli occhi sono così puntati sul 17 giugno, il giorno delle elezioni greche. In questo mese, l’instabilità finanziaria si coniugherà con quella valutaria. E, al riguardo, è facile immaginare il fuoco di fila della governance mediatica e economica nel cercare di condizionare il voto greco per evitare che dalla volontà popolare possa emergere ciò che è più temuto dall’oligarchia politica oggi al comando dell’Europa: una bocciatura dei diktat della finanza mondiale, pur con la volontà di rimanere in Europa, senza scegliere derive nazionalistiche e corporative di ritorno alla moneta nazionale (di gran lunga più preferibili, allo stato attuale della situazione).
La dove l’idea di democrazia è sorta, là rischia di morire definitivamente, senza neppure salvare la faccia (ovvero la forma).
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Nel frattempo, i movimenti sono in azione. Ma questa volta, a differenza del passato, la repressione svolge una funzione preventiva. Il cambio di strategia prevede l’intervento prima delle azioni e della manifestazioni con il chiaro intento di impedire l’esercizio del dissenso. I numerosi arresti costellati dal divieto di manifestare nei giorni successivi e i fogli di via (una sorta di Daspo politico) che hanno costellato le giornate di Blockupy Francoforte sono un chiaro sintomo che la paura aleggia tra i palazzi del potere. E’ un nuovo livello di sfida che richiede una capacità di risposta di tipo diverso, per evitare di rimanere incastrati in una logica di pura resistenza. Assistiamo a un aumento dell’autoritarismo politico, che non si limita solo all’attuazione di golpe finanziari per imporre governi tecnici supini agli interessi finanziari.
Inoltre, in una situazione di crisi, le disponibilità e le risorse per un processo di trasformazione sono ancor più limitate. Ed è per questo che risulta sempre più importante una strategia d’offensiva propositiva e di mobilità di azione che siano il più possibile inclusive. A tal fine, diventa sempre più necessario sviluppare un processo reticolare di attivazione di un processo di audit del debito pubblico, al fine di arrivare a formulare una proposta compiuta di default di parte del debito (quella illegittima) come leva su cui imbastire un processo costituente per l’implementazione di una politica economica autonoma alternativa al modello dell’austerity. Magari a partire dal voto greco del prossimo 17 giugno?