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Mappe cangianti del biocapitalismo

 

di BENEDETTO VECCHI

Cinque anni che hanno cambiato il mondo. È nel 2007, infatti, che la crisi ha preso il via e da allora non si è fermata. Iniziata negli Stati Uniti si è poi diffusa come un virus in Europa, ridisegnando la geografia del capitalismo. I suoi effetti sono stati però diseguali. È infatti indubbio che l’economia statunitense oscilla tra recessioni e brevi riprese, al punto che economisti del calibro di Paul Krugman e Joseph Stiglitz parlano di stagnazione. In Europa, invece, la crisi rischia di mandare in frantumi l’Unione europea, con paesi sull’orlo della bancarotta – Spagna, Portogallo, Grecia, Italia – e una nazione, la Germania, che ha costituito una muraglia che fermasse lo tsunami, scaricando sui suoi vicini gli effetti della crisi.
La geografia mondiale della crisi fa registrare che la Cina, l’India, gran parte dell’America Latina hanno continuato a funzionare, invece, come locomotive dello sviluppo capitalistico. Cercare di costruire mappe della crisi è compito urgente. Il gruppo di Uninomade, che vede presenti intellettuali e attivisti, sostiene che il metodo migliore per costruire quelle mappe esiste. Ha un nome che ha origine negli anni Sessanta e a coniarlo fu, dicono i testi, Romano Alquati, presentando le sue inchieste alla Fiat. Si tratta della «con-ricerca», cioè di un lavoro qualitativo e quantitativo di inchiesta sulle trasformazione sociali svolto assieme alla forza-lavoro.
Con-ricerca dunque sulla crisi. È questo il filo rosso della discussione che Uninomade propone di fare a Passignano sul Lago Trasimeno, in Umbria, a partire da giovedì prossimo (tutte le informazioni «logistiche» sono nel sito: uninomade.org). Ma le mappe che la conricerca vuole tracciare non avvengono su un foglio bianco. Uninomade si rifà espressamente, nella metodologia di ricerca, all’operaismo italiano e a quanto hanno prodotto teoricamente, in anni molto più recenti, riviste come «Luogo comune», «Futur Anterieur», «DeriveApprodi», «Posse». E in quelle mappe sono già state tracciate molte delle tendenze che caratterizzano il capitalismo contemporaneo.
La centralità del sapere – materia prima e elemento qualificante del lavoro vivo – nel regime di accumulazione; l’intreccio sempre più stretto tra finanza e produzione, al punto che il primo termine del binomio si presenta come strumento di governo e coordinamento dello sviluppo economico. Infine, quella rivoluzione della classe che ha portato il gruppo Uninomade a preferire il termine moltitudine a classe. Ma se questo è il patrimonio analitico acquisito la sfida è andare avanti nel lavoro di ricerca. Dunque nessuna tensione a ripetere il già noto, ma produrre significative differenze all’interno di un corpus teorico che viene messo continuamente in relazione ai conflitti sociali, di classe, di genere.
Ed è per questo che il programma dei lavori non prevede solamente relazioni, ma anche workshop dove condividere esperienze di «movimento». Allo stesso tempo, è prevista una sessione sulla renaissance marxista, a partire non solo del successo editoriale di alcuni volumi, ma anche di convegni, seminari, progetti editoriali incentrati sull’opera marxiana.
Le relazioni previste sono di Toni Negri, Adelino Zanini, Christian Marazzi, Carlo Vercellone, Matteo Pasquinelli, Andrea Fumagalli, Cristina Morini, Maurizio Lazzarato, Roberta Pompili, Giso Amendola, e molti altri. Ogni contributo è aperto alla discussione, perché l’obiettivo dell’incontro di Passignano non è appunto la ripetizione del già noto, ma di affrontare le problematicità che il corpus teorico presenta, a partire dal concetto di capitalismo cognitivo, di biopolitica e di moltitudine.
E qui il confronto è proprio con la crisi, considerata da molti teorici marxisti come una sorta di sconfessione proprio del capitalismo cognitivo, visto che mette in evidenza come sia necessario un ritorno ai «fondamentali». E se a Londra, come anche in Italia, ci sono economisti e filosofi che invitano a ritornare ai «sacri testi», nel documento di presentazione della «summer school» emerge il fatto che questa crisi mette in evidenza proprio sia la messa al lavoro e la centralità del sapere, dell’affettività, della «nuda vita» che la centralità della finanza non come elemento parassitario, bensì come strumento di governance dello sviluppo capitalistico. Da questo punto di vista i testi preparatori dell’incontro – Negri, il diario della crisi di Marazzi, il testo di Pasquinelli – presentano novità rispetto a quanto recentemente affermato dagli stessi autori attorno al ruolo del debito, alla teoria del valore, alla distinzione tra lavoro produttivo e improduttivo.
C’è infine, un rovello politico che attraversa il programma dei lavori e che occuperà le sessioni plenarie del seminario di Passignano sul Trasimeno. Perché in questi anni di crisi, i movimenti sociali hanno prodotto conflitti che rinviano appunto alla critica dello status quo – la Val Susa, ovviamente, ma anche i precari, i conflitti operai, quelli sui «beni comuni» – ma sono rimasti conflitti frammentati. Una domanda che per un gruppo di lavoro che si sente parte integrante dei movimenti non si può lasciare senza risposta.

* Pubblicato su “il manifesto”, 1 settembre 2012.

 

 

 

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