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Milano, rave e repressione – Periferie e macchine desideranti

 

di CRISTINA MORINI

Viale Europa, a Cusago, nei sobborghi di Milano, è una lunga strada nel vuoto che si snoda tra i capannoni industriali. A un certo punto, percorrendola da Trezzano sul Naviglio, dopo un’infilata di outlet, distributori di benzina e motel, si nota, sulla sinistra, una struttura abbandonata, una ex Standa dicono, all’interno di un immenso stabilimento dismesso. Si intravvede una scritta sbiadita, sul muro di cinta del complesso, “Kuene+Nagel” cioè una multinazionale americana attiva nei settori del petrolio, della chimica e della farmaceutica, della progettazione aerospaziale, della logistica e della vendita all’ingrosso. Con sedi negli Usa e in Canada, a Dubai e in India, è atterrata pure qui, Cusago, periferia sud-ovest di Milano. Attualmente, la proprietà di questa infinita porzione di territorio, deformata dal fabbrichismo e poi resa un deserto, è dell’Enpam, l’ente previdenziale dei medici italiani.

Sabato scorso, 29 ottobre, questo luogo è stato oggetto di un’irruzione di 200 poliziotti in assetto antisommossa per sgomberare quasi 2000 giovani arrivati da tutta Italia per un rave “abusivo”. Si è scatenato un inferno, una ragazza di 22 anni è tutt’ora in coma farmacologico “perché caduta a causa di un malore”, 50 feriti, 40 fermati, un cane ammazzato a manganellate, distruzione, panico, rabbia. È stata l’amministrazione comunale di Cusago a dare l’allarme, già la mattina di sabato: “Si è palesata una situazione d’emergenza e di pericolo per l’ordine pubblico che ha richiesto anche l’intervento di questore e prefetto. Si è deciso quindi di chiudere il Viale Europa per impedire l’accesso all’area con mezzi propri e per contenere il fenomeno in un’area circoscritta. L’Amministrazione comunale di Cusago ringrazia il Comune di Trezzano per aver prontamente chiuso anche il proprio accesso, scusandosi con le attività commerciali che hanno subito un danno per tale chiusura, che era però inevitabile”[1].

Tra gli organizzatori della festa, gli Hazard Unitz hanno raccontato in rete, in un report, il loro arrivo sul posto, alle 11 del mattino: fanno un sopralluogo e scaricano le loro cose, vogliono festeggiare i 10 anni dalla fondazione della crew. Nasce quella che, in gergo, viene chiamata “Taz”, cioè Temporary autonomous zone, Zona temporaneamente autonoma: “Un posto in disuso che rivive, dove l’accesso è gratis e tutti si divertono nel rispetto degli altri”.

E nonostante una trattativa con le forze dell’ordine che dura, a singhiozzo, per l’intera giornata, alle 22 parte comunque la mattanza. La polizia “irrompe nel capannone, ci spegne l’impianto, e inizia a manganellare qualsiasi cosa trovino davanti, ragazze, ragazzi, cani, usando pure lacrimogeni, nel mentre ci spaccano tutte le luci sull’americana, cercano di bucarci i coni delle casse con i manganelli. In tutto questo frangente si accende una miccia che scatena l’inferno e si crea guerriglia tra persone e polizia dentro il capannone”[2].

Le testimonianze dei ragazzi e delle ragazze in rete si moltiplicano, straordinarie narrazioni precarie riportate dalle testate milanesi online MilanoX e MilanoinMovimento oppure attraverso facebook[3] parlano di poliziotti “manganellatori e ladri di bibite”. Racconti epici di ragazzi frustrati e disperati per l’ingiustizia subita, una folla di 1400 persone che cerca di scappare “una fottuta spremuta, tutti l’uno sopra l’altro, io ho corso a più non posso per un altro tratto di strada mentre sentivo urla di disperazione”. La fatica di uscire da un incubo, mentre doveva essere un festa: “volendomene dopo un po’ andare a casa, ho fatto una fatica enorme dovendo nascondermi e attraversare fabbriche e campi nei pressi delle strade occupate dalla polizia che continuava massacrare tutto e tutti, anche fuori”[4].

“I rave party hanno un significato ben più profondo e che va molto oltre il semplice gesto di drogarsi e consiglierei alle persone che ne parlano così negativamente di informarsi sulla loro storia prima di sparare sentenze a caso”, scrive Greta di Lecco sulla pagina degli Hazard Unitz.

Repressione, ma arancione

Un mese prima, il primo ottobre era arrivato in città un nuovo questore, Luigi Savina, avido di nuove cose da vietare. Le manifestazioni finiscono subito a manganellate. Si parte immediatamente, il 5 ottobre, con gli studenti. Poi, abbiamo lo sfratto violento di una famiglia di occupanti di una casa popolare di San Siro e qui, alle manganellate, un funzionario in borghese della polizia aggiunge qualche pugno in faccia a una ragazza. Subito dopo, ecco lo sgombero del centro sociale Lambretta, nel quartiere di Lambrate, che nella sua breve esistenza (l’occupazione risaliva alla scorsa primavera) si era fatto benvolere dagli abitanti del quartiere per le numerose attività politico-culturali che avevano portato all’allontanamento degli spacciatori. Poi, ancora, ecco lo schieramento militare allo stadio per “contenere” i tifosi del Partizan, fino all’arresto di sette attivisti, cinque italiani e due francesi, a Pessano con Bornago, mentre protestano contro l’arrivo della Tem (la tangenziale Est esterna, che taglierà in due la Martesana), con un presidio, striscioni e (addirittura) bombolette spray. Il pestaggio al rave di Cusago si iscrive in questo quadro. Se passate dalla stazione centrale di Milano, un giorno qualunque di questi, potreste imbattervi nel pestaggio di un homeless. Ma questa è gestione quotidiana.

In questa ridente città arancione, mentre calano l’inverno e la nebbia, l’assessore alle politiche sociali del cerchio magico della giunta Pisapia, Pierfrancesco Majorino, è andato in visita pastorale dai ragazzi del Lambretta mentre portavano via le loro cose da piazza Ferravilla, dopo il passaggio della polizia. Ha invitato le realtà occupate cittadine a partecipare ai bandi per l’assegnazione di uno spazio, “nel rispetto della legalità”.

Ognuno deve fare la propria parte e, per occultare la quotidiana violenza economica che ci tocca subire, sarà necessario, come sempre, invocare la legge, la sua giustizia e inevitabilità, perciò scovare le classi criminali, poveri, ribelli, raver che siano e, se del caso, consegnarli alla galera. La stampa dovrà intanto fornire il senso destinico della crisi, gestita con la necessaria fermezza dal governo fatale e contemporaneamente spingere sull’immagine preoccupante di bande giovanili in preda all’abuso di alcol e di droghe, gruppi di studenti fuori di testa che rovinano pacifiche manifestazioni, persone naturalmente portate più che al dissenso alla “devastazione e al saccheggio”, stridule evocazioni che fomentano panico, senso di impotenza e paura, e che costituiscono la giustificazione morale di ogni apartheid urbano e di ogni conseguente, obbligatorio, intervento repressivo.

Una crociata universale e ineluttabile “per la difesa della città” che passa dalla distruzione della agibilità degli spazi e dalla creazione di nuove guerre di classe con la produzione di confini invisibili per i giovani senza soldi che si inventano allegramente una vita e una festa, fanno rivivere uno spazio, prendono una casa abbandonata da decenni e ci organizzano dibattiti, cineforum o presentazione di libri. Dentro questa costruzione cittadina è risaputamente inclusa la funzione della polizia, essa ne è parte integrante soprattutto in situazioni economiche “dure” che possono rischiare di fare aumentare le proteste, le rivolte e i crimini contro la proprietà. Dunque esiliare e intimorire, deprimere e spaventare i “cattivi cittadini”, quelli che pretendono di stare nelle strade, estinguere ogni istanza di spazio pubblico e di socialità, convincere, a forza di botte, a non aderire a una manifestazione: meglio starsene al sicuro a casa propria, a farsi, da soli, i fatti propri. Al “bene comune” ci pensa il predestinato Mario Monti, l’“eletto” anche se mai eletto, che la fortuna e Napolitano hanno avuto la generosità e l’acutezza di mettere sulla nostra strada.

Nuovo ordine normo-costituito 

La restrizione degli spazi di libertà va oggi di pari passo con l’acuirsi della crisi economica e con la crisi conclamata della governance dell’ultimo decennio che ha cercato di gestire le differenti pulsioni sociali attraverso lo strumento bidirezionale della carota e del bastone. Con l’avvento del governo tecnico, la patina esteriore di salvaguardia delle apparenze è saltata. Le vicende descritte sono tutte collegate tra loro e sono il frutto di precisi ordini e ci raccontano il “nuovo ordine” che da qui in poi verrà imposto con sempre maggiore decisione e ostilità. Il comportamento della maggior parte dei media, la cui scorrettezza è imbarazzante, si iscrive all’interno di questo medesimo discorso.

Il soundsistem OppostiConcordi, ragionando in questi giorni su quanto accaduto a Cusago, ha ricordato il Tulps “Testo Unico sulle Leggi di Pubblica Sicurezza” che recepisce il Decreto Regio del 1931, strumento di controllo e repressione delle azioni sociali, rinnovato da molte legislature fino al 2008. Fanno notare: “Vietati i rave, dunque, come qualsiasi altro raduno che per luogo o numero dei partecipanti abbia carattere di riunione pubblica e che non sia stata comunicata e approvata preventivamente dal questore competente. Nella nostra storia recente questo strumento è più usato in casi di manifestazioni politiche, che in caso di un rave, che assai difficilmente sfocerà in una rivolta popolare. Strumento malleabile: dice esplicitamente che vanno anche impedite tutte le ‘manifestazioni lesive del prestigio delle autorità’”.

Dunque, nei periodi critici della storia le azioni di repressione violenta debbono essere indirizzate contro tutte le manifestazioni che ledono il principio di autorità, anche solo implicitamente. Ogni deviazione dalla norma, volontaria o involontaria, deve essere soffocata con forza, introducendo anche gli elementi della colpa, del peccato e del disordine. Ogni aggressione alle regole sulle quali si articola la società va fermata. Le sue leggi, i suoi dettami, come quelli dell’economia, vanno preservati quasi fossero dettami divini, trascendenti. Il disordine di un rave, di un posto occupato, di una manifestazione che si prefigga di contestare l’autorità, magari deviando da un percorso, è un’evenienza mostruosa perché non solo si discosta dal precetto ma pretende pure di sostituirlo con una diversa dimensione delle relazioni sociali, con un divenire che attraversa e modifica le forme consone.

Taz e teatri occupati

Così, evidentemente, una Taz assume anche il significato di una presa di coscienza di che cosa sia questo potere che ha perso ogni significato ed è pura simulazione. “L’abisso del potere, la fine del discorso del potere”, dice Hakim Bay. E dunque un rave abusivo infastidisce più che mai, in questo periodo, per la sua pretesa simbolica di esistere non solo oltre il controllo ma anche oltre la sua definizione, oltre gli atti di schiavitù a cui veniamo obbligati, oltre la comprensione dello stato. Rifiuto della famiglia, della casa, del lavoro, della chiesa, linguistica del caos contro le istituzioni, dove ogni gesto negativo suggerisce anche una tattica positiva per rimpiazzare e non solo rifiutare.

I teatri occupati, la cui agency abbiamo osservato e attraversato con il dovuto interesse e rispetto, in questi mesi, non se la prendano se chiariamo: tutto avviene sempre di lotta in lotta, e ancora di lotta in lotta, e senza sosta di lotta in lotta. Milano, dalla MayDay ai rave: la creatività della moltitudini desideranti è sparpagliata in ogni recesso del reale, ricerca eminentemente politica ma anche fantasia poetica. Sempre diversa, affiora in forme tutte le volte differenti ma sempre a partire dalla medesima tensione affermativa che infatti incute paura al sistema. Tenere conto di questo servirà a evitare di sentirsi, anche da questa parte, degli eletti dal destino. Siamo, tutte e tutti, parte di un flusso in termini storici e politici, da soli non siamo nulla. Per questo abbiamo necessità di ragionare seriamente sulla ricomposizione. Perché anche i campi e le fabbriche dismesse delle periferie di Cusago pullulano di pietre preziose, di invenzioni, di forme di vita – come si dice.

Fant Precario ci ha raccontato la forza lirica dei ladri di vespini, operai delle periferie per i quali l’arte è una condizione di vita: “l’artista non è un tipo speciale di persona ma ogni persona è un tipo speciale di artista”.

Così, evidentemente il punto è soprattutto, per il potere, quello di evitare che gli schiavi prendano a desiderare quello che desiderano i padroni in modo da scongiurare le possibilità che si ribellino per ottenerlo. E allora contro di noi, macchine desideranti, spara il fuoco delle sue macchine da guerra. Noi che si vorrebbe condannati a non sperimentare mai autonomia e che viceversa continuamente ci produciamo, e ancora ci produrremo, nello sforzo di far nascere zone autonome, fuori da ogni dogma. Alzarsi, sollevarsi, prendersi cura di se stessi, tirandosi insieme.


[1] http://www.mi-lorenteggio.com/news/20956

[2] http://milanoinmovimento.com/news-stream/assalto-al-rave-il-report-di-hazard-unitz

[3] Testimonianze che si possono leggere sulla pagina facebook degli Hazard Unitz

[4] http://www.milanox.eu/manganellatori-e-ladri-di-bibite-testimonianze-dallassalto-al-rave-di-cusago/

http://www.radiondadurto.org/2012/10/30/la-verita-su-quanto-accaduto-al-rave-party-di-cusago-le-testimonianze/

http://www.inventati.org/offtopic/?p=1610

* (Si ringraziano la Rete di San Precario e Off Topic, I Quaderni di San Precario, MilanoX, MilanoinMovimento, Abo, Andrea Fuma, Fillo, Yuri, Gianluca, Stefo).

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alberto gennari

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