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San Precario incontra Toni Negri

 

di SAN PRECARIO’S CREW

Quando della precarietà si parlava sottovoce, noi sparavamo 10.000 watt di rabbia per le strade di Milano. Quando dicevano che era una congiuntura, noi si affermava che “precario è per sempre”. Quando ci hanno detto che bastava cancellare la legge 30, noi abbiamo ricordato le leggi Treu, Bossi-Fini e Turco-Napolitano. Quando ci hanno detto che era sufficiente diminuire il numero dei contratti atipici abbiamo ripetuto che la precarietà c’entrava poco con i contratti atipici e tanto – ma tanto – con il profitto delle aziende. Ora vogliamo parlare di sciopero precario, di come consentire ai precari e alle precarie di far sentire la loro voce e di sabotare i profitti di chi specula, precarizzando i precarizzatori. Ne abbiamo parlato con Toni Negri giovedì scorso, 24 marzo, al Teatro I di Milano, in preparazione degli Stati Generali della precarietà 3.0 che si terranno il 16 e il 17 aprile prossimi a Roma. Stranamente avevamo (quasi) tutto: santini e gonfalone del Santo dei precari, il testo del wikistrike ovvero le nuove parole da cui partire per agire nella precarietà, la video camera per la diretta streaming. Non male, essendo tutto autogestito precariamente.

Sala strapiena, 120-130 persone. Al fischio d’inizio un’introduzione sul percorso degli Stati Generali e sullo sciopero precario, con un paio di domande a Toni Negri:

  1. Quale deve essere la natura e il significato dello sciopero oggi: il sabotaggio dei profitti, il blocco dei flussi, un momento di attivazione riproducibile come passaggio per una mobilitazione più vasta, basato sulla presa di coscienza della condizione precaria che sviluppa un autonomo “sapere precario”, insieme a nuove forme efficaci di comunicazione tra precari?
  2. Qual è la rappresentabilità della condizione precaria ovvero della soggettività del lavoro vivo di oggi?

Il Professore, a sua volta, pone una serie di domande a noi:

  1. Che rapporto esiste oggi tra la composizione tecnica e sociale del lavoro e il processo di valorizzazione del capitale oggi, ovvero tra le caratteristiche del lavoro e la fonte del profitto (e delle rendite) delle imprese?
  2. Certamente oggi la valorizzazione (profitto) è maggiore nei processi di flusso che negli stock produttivi, come negli anni del fordismo. All’epoca era sufficiente inserire un cacciavite nel posto giusto per bloccare tutto. Oggi non è ovviamente così. La cosa è più complessa. Come fare? Alcuni esempi possono venire dalle lotte in Francia dello scorso autunno, quando si bloccarono le raffinerie oppure si fece uso dello “sciopero intercategoriale” ovvero lo scambio di lavoratori per causare blocchi in quei servizi in cui gli addetti non potevano assentarsi o fare sciopero, perché si trattava di servizi essenziali: in altre parole, far fare il blocco ad altri lavoratori in una sorta di scambio solidale.
  3. Vi è, probabilmente, un problema intergenerazionale. Le generazioni precarie di oggi utilizzano strumenti e modi di essere del tutto diversi. Utilizzano forme di comunicazione (intenet, social network, ecc.), che non si sa fino a che punto siano effettivi strumenti di rivolta o di controllo. Vi è quindi un elemento di equivocità nelle forme di comunicazioni che deve essere affrontato.
  4. Rapporto con le istituzioni sindacali: è chiaro che bisogna preservare la propria autonomia di azione e di pensiero, ma, a seconda dei rapporti di forza, è possibile anche una certo uso strumentale (giocando sull’ambiguità) degli apparati sindacali esistenti. Occorre coinvolgere e allargarsi il più possibile, senza perdere mai la propria purezza.

Su queste domande inizia il dibattito pubblico che si protrae per oltre un’ora. Nel primo intervento si pone il tema dello spazio: lo sciopero precario deve intervenire sullo spazio e non solo sui tempi. Lo sciopero tradizionale è sempre stato considerato come momento di sottrazione del tempo di lavoro/vita al padrone. Ora lo sciopero precario, che è un processo dinamico nel tempo, deve porsi anche l’obiettivo di sottrarre spazio al padrone.

Poi viene posta la questione della definizione di precarietà come “condizione” in opposizione alla “condizione” del lavoro stabile. Si domanda che significa blocco dei flussi, quando invece occorre intervenire sulla produzione e, come già accadeva negli anni ‘70, bloccare la produzione significava bloccare i flussi. Segue un intervento del comitato NO F135, aerei militari in costruzione alla base militare vicino a Novara, che precisa come il blocco dei flussi debba essere anche blocco del territorio.

In due interventi del comitato No Expo si pone l’accento sulla dipendenza culturale dagli immaginari del potere, che rende necessario attivare interventi sul piano culturale, e puntualizza come la precarietà oggi, proprio perché esistenziale, sia anche precarietà del territorio e quindi lo sciopero precario deve intervenire anche su questo aspetto.

Un successivo intervento parla di come la precarietà abitativa, ancor più importante della precarietà del lavoro. I due aspetti sono collegati dal tema del reddito e del welfare (non a caso pilastri dello sciopero precario, ndr.). Si propone di immaginare lo sciopero come totale astensione da qualsiasi attività produttiva di valore (quindi anche comunicazione, consumo, ecc.).

Qualcuno ricorda i motivi che ci hanno portato allo sciopero precario, e che nei numerosi incontri intercorsi con altre realtà italiane, lo sciopero viene visto come processo che da una presunta impotenza porta alla potenza e al protagonismo precario nel tentativo faticoso ma importante di tenere insieme tutti i vari piani che sono qui ricordati: per questo sono stati particolarmente importanti gli incontri all’Aquila con realtà che si occupano del territorio e della questione abitativa.

E c’è chi declama lo sciopero precario come unica vera possibilità dell’esistente. Non c’è bisogno di discutere se farlo o non farlo: i precari sono maggioranza e le esigenze e la situazione impongono che si faccia, punto e basta. Questo sciopero deve intaccare soprattutto la parte della logistica materiale e immateriale, perché è lì che si genera il profitto maggiore ed è lì che occorre sabotare. Difendere e chiedere lavoro, soprattutto il lavoro di fabbrica, non solo è perdente ma fuori dalla storia: il capitale è già andato oltre (vedi caso Alfa). Chiude un altro devoto di San Precario che riporta con molta verve e grande pathos (al punto di farsi denominare Danton da Toni Negri!) alcuni contenuti cruciali: innanzitutto diamo per acquisite le due coordinate principali che raccontano la condizione precaria: la precarietà avvolge tutte le sfere della vita, la precarietà è l’elemento portante dei processi di valorizzazione del capitale in Italia. Più semplicemente: è il modo in cui alcuni fanno profitto e altri cadono nell’incertezza e nel ricatto. Vi è però un ulteriore punto da precisare, che indica il passo successivo, l’obiettivo da conseguire. Noi precari e noi precarie esistiamo, anzi rivendichiamo di essere protagonisti. Ed è su questa parola che si misurerà il nostro successo e insuccesso. Questo protagonismo deve essere frutto di un processo di soggettivizzazione, cioè di presa di coscienza. Senza una precisa consapevolezza della natura della nostra condizione possiamo aspirare solo a essere testimoni di noi stessi, o collaterali all’azione politica e sindacale di qualcun’altro. Il timore che venga a crearsi un protagonismo precario, cioè un moto d’orgoglio creativo e condiviso capace di farci riconoscere a vicenda e produrre una nuova narrazione culturale e sociale, è palpabile. Ma se ciò non accadesse, se questa presa di coscienza non avvenisse, correremmo il rischio che qualsiasi azione contro la precarietà abbia come unico esito un ritorno al passato. Esito che positivo non è. Quindi, quali forme deve prendere questo protagonismo? Lo sciopero precario è una di queste forme. Il blocco dei flussi produttivi è importante ma non basta.

Immaginatevi che tantissimi precari e precarie collaborino al progetto di indicare le possibilità, gli escamotage, le 1000 e una scuse per assentarsi dal lavoro senza subire rappresaglie (Toni Negri, nel suo intervento iniziale, aveva fatto riferimento al fatto che lo sciopero deve far male al padrone ma deve costare il meno possibile al lavoratore…).
Immaginatevi che tutti i lavoratori per un giorno non usino il cellulare rendendosi irreperibili e bloccando di fatto moltissimi lavori.
Immaginatevi che il mondo degli hacker si metta d’accordo per intervenire sui flussi comunicativi.
Immaginatevi che i sindacati di base che sono forti nel settore dei trasporti decidano una fermata improvvisa all’ora X.
Immaginatevi che gruppi di militanti intervengano contemporaneamente in più punti della metropoli, bloccandoli, immaginatevi una serie di azioni decentrate (e non concentrate come nella sfilata tradizionale), immaginatevi tutto questo… Ecco, questo è lo sciopero precario e questo, con l’aiuto dell’intelligenza collettiva, possiamo farlo!”.

L’intervento fa scattare una “ola” che raramente avevamo avuto il piacere di vedere e pone fine al dibattito. Un Negri molto attento e carico ha quindi concluso, dicendo che alcune sue domande (in particolare la prima) avevano trovato risposta. Sostiene che gli pare di sentire un’aria nuova in città e quindi si compiace molto dell’iniziativa che stiamo costruendo. Chiude così il Professore, ascoltatissimo, ponendo due questioni: la prima è che la lotta sulla precarietà è lotta biopolitica, lo sciopero precario è lotta biopolitica e quindi è strettamente collegata al tema del comune. Occorre perciò affrontare questo tema nel programma che noi dobbiamo costruire e immaginare. Ad esempio, una nuova proposta di welfare non è nuova fintanto che non immagina un welfare del comune e non gestito dallo Stato, perché lo Stato è sempre comunque intermediazione del capitale.

Ultimo punto che Negri rilancia è quello dell’organizzazione. Un’organizzazione, sicuramente non leninista, ma comunque un’organizzazione è più che mai necessaria. Gli Stati Generali sono una forma di organizzazione? “E’ la lotta che crea l’organizzazione e non il contrario” (Luciano Parlanti, operaio Fiat Mirafiori).

 

 

 

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