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Tunisia: dal dolore una nuova speranza

 

di MARIO SEI

Pubblichiamo questo articolo che ha il merito di ricostruire i recenti accadimenti succedutisi in Tunisia dall’assassinio politico di Chokri Belaid fino allo straordinario sciopero generale di venerdì, che nella sola capitale ha mobilitato più di un milione e mezzo di tunisini e tunisine durante l’ultimo saluto all’esponente marxista magrebino. Soprattutto ci interessa ragionare sulle modalità con cui si è arrivati ad uno dei più grandi scioperi generali della storia della Tunisia. Ci sembra che le dinamiche sociali che si sono attivate in tutto il paese poche ore dopo la diffusione dell’omicidio di Belaid siano in parte molto simili alle attivazioni di massa seguite all’immolazione di Mohamed Bouazizi nel dicembre 2010. Le strade si sono riempite di giovani disoccupati e precari, di insegnanti e delle diverse figure della povertà, che nella stragrande maggioranza dei casi hanno diretto la loro collera contro le sedi del partito della maggioranza al governo Ennahdha, le sedi dei governatorati regionali, e contro le centrali della polizia, incendiandole e saccheggiandole. Spesso, come a Sfax e non solo, ci sono stati momenti di jacquerie, e nella capitale oltre agli espropri, migliaia di tunisini hanno tentato di avvicinarsi al Ministero degli Interni urlando “degage” e resistendo alla cariche e ai gas lacrimogeni, che non hanno risparmiato neanche l’ambulanza che trasportava il corpo di Belaid. Nella notte Anonymous dichiarava il Tango Down dei siti del governo. Come nelle giornate di insurrezione del 2011, anche questa settimana, la piazza ha colpito le istituzioni del regime, in questo caso orientate dai processi di normalizzazione della così detta transizione democratica. E con quale forza! Il grande sindacato UGTT non ha potuto fare a meno, dopo 48 ore di reticenze, di formalizzare uno sciopero generale che già era stato imposto e conquistato dal processo di mobilitazione, e il risultato è stato la paralisi completa del paese magrebino. A seguito dell’omicidio di Chokri Belaid le tante rivolte e insurrezioni regionali seguite alle elezioni farsa, hanno avuto l’opportunità di gridare all’unisono “degage” alla cosiddetta transizione democratica che tanto ha oltraggiato i bisogni e i desideri degli sfruttati e dei poveri in mobilitazione ormai da circa 3 anni. Nel momento di maggiore debolezza delle fazioni islamiste, sconvolte anche dalle loro statutarie contraddizioni interne, il proletariato ha colpito, delegittimando per l’ennesima volta quegli strumenti tanto cari all’occidente di normalizzazione sociale e reazione politica, ANC compresa, già rudere dal primo giorno dei lavori. Invece di guardare alla radicalissima crisi istituzionali tunisina dal punto di vista delle istituzioni stesse, ci interessa considerare quanto sta accadendo guardando le istituzioni della transizione a partire dalle lotte. Fin dal 2011, del resto, avevamo sostenuto che sarebbe fallita la stabilizzazione imperiale guidata dalla forze dell’islam politico, insistendo sul fatto che il processo cominciato con le insorgenze di tutta la regione restava completamente aperto: ciò ci ha permesso di individuare alcune linee di tendenza di quello che oggi sta avvenendo in Tunisia e in Egitto (si vedano gli articoli del Dossier Mediterraneo, ad esempio quello di Fulvio Massarelli La crisi di Ennahdha e il ritorno alle miniere). Da questo punto di vista le debolezze della controparte non ci inducono ad urlare “si salvi chi può” come certa sinistra in Tunisia e in Italia ci sembra fare in questi giorni, ma al contrario ci spingono a considerare in tutta la sua forza il ritorno corale del “degage” ad Ennahdha, alla Casa Bianca e agli alleati delle petrol-monarchie.

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La notizia dell’attentato mortale al leader del Movimento dei Patrioti Democratici circola rapidamente fin dal primo mattino di mercoledì 6 gennaio. Già verso le 10, la storica avenue Bourghiba, dove ha sede il Ministero degli interni e teatro degli eventi che il 14 gennaio 2011 condussero alla caduta del regime di Ben Ali, è stracolma di una folla radunatasi spontaneamente. Nella grande arteria del centro di Tunisi sembra di rivivere quei giorni: la rabbia e il dolore sono palpabili e anche gli slogan sono simili. Le cariche e i primi lacrimogeni della polizia cominciano verso le tre del pomeriggio, quando arriva l’ambulanza con la salma della vittima. Gli scontri continueranno poi per gran parte della giornata nelle vie laterali, alimentati soprattutto da bande di giovani che, approfittando della situazione, cercheranno di svaligiare i negozi e un poliziotto, colpito dalle pietre, perderà la vita. Manifestazioni di collera si sono svolte un po’ ovunque e in molte città la folla ha preso d’assalto e bruciato le sedi del partito islamista Nahda, da tutti accusato di essere responsabile della tragedia.

Chokri Belaid, avvocato di 48 anni ed esponente di spicco di uno dei partiti di sinistra che nell’agosto scorso aveva dato vita al Fronte Popolare (Al Jabha Chaâbia), è stato freddato sotto casa con tre colpi di pistola. L’evento ha provocato uno choc profondo nel paese, storicamente non abituato a vivere in un clima di estrema violenza politica, anche se va riconosciuto che in questi ultimi mesi la tensione sociale e lo scontro politico sono sensibilmente aumentati.

Sul versante sociale, soprattutto nelle regioni centrali e meridionali del paese, da sempre le più disagiate, si sono susseguiti aspri movimenti di protesta per una situazione economica che, frustrando le speranze post-rivoluzionarie, non solo non è migliorata, ma in molti casi è persino peggiorata. Il governo insediatosi dopo le elezioni dell’ottobre 2011, formato dal partito maggioritario islamista Nahda e da altri due partiti laici moderati (Ettakatol e CPR), non poteva certo risolvere problemi endemici ed ereditati dagli anni del regime. E’ comunque certo che oltre ad aver riproposto le classiche e inefficaci ricette neo-liberali, il governo in carica ha spesso reagito alle rivendicazioni sociali e ai vari movimenti di protesta usando unicamente la dura repressione. I fatti più gravi sono avvenuti a Siliana agli inizi del dicembre scorso, dove le forze dell’ordine hanno represso uno sciopero generale protrattosi per giorni con fucili a pallettone, ferendo e accecando decine di persone. A complicare una situazione di per sé difficile, l’atteggiamento di buona parte dell’opposizione che ha sfruttato ogni occasione per delegittimare e destabilizzare un governo comunque debole e con oggettive difficoltà a gestire apparati dello stato le cui gerarchie restano, in gran parte, quelle del precedente regime.

Sul versante strettamente politico, dopo l’eccessiva proliferazione di partiti e sigle che avevano caratterizzato lo scenario elettorale delle prime elezioni democratiche, è avvenuta una sempre maggiore bipolarizzazione che vede schierati da un lato il partito islamista Nahda e dall’altro Nidaa Tounes, una costellazione eterogenea che, in nome di una vaga nozione di laicità, amalgama forze di centrodestra e vecchie formazioni di centrosinistra, e il cui leader carismatico, Beji Caid Essebsi, influente ministro ai tempi di Bourghiba, è stato a capo del governo di transizione che traghettò il paese alle elezioni dell’ottobre 2011. Ai margini di questa logica binaria, è nato da qualche mese un terzo polo, il Fronte Popolare, che riunisce al proprio interno una decina di partiti della sinistra marxista e panarabista. Superando una frammentazione dovuta perlopiù a vecchie divisioni dogmatiche, il Fronte ha ultimamente conquistato una certa visibilità, grazie anche all’attivismo di figure di rilievo come quelle del suo portavoce Hamma Hammami, storico leader del partito comunista tunisino, e di Chokri Belaid, che la sera prima di essere barbaramente assassinato, partecipando a un dibattito televisivo, aveva profeticamente parlato del rischio di violenze politiche e accusato il governo, Nahda in particolare, di lassismo e di connivenza con frange estreme.

Un rischio che effettivamente negli ultimi mesi era divenuto percepibile e che è stato demagogicamente alimentato dalle due maggiori forze politiche in campo, Nahda e Nidaa Tounes, le quali, giocando col fuoco, hanno reciprocamente demonizzato la parte avversa schematizzandone la natura: la prima accusando Nidaa Tounes di laicismo antireligioso, di voler ripristinare il vecchio regime e di rappresentare gli interessi della ricca borghesia, la seconda denunciando il tentativo da parte di Nahda di voler instaurare una dittatura islamica. E’ in questo clima di radicalizzazione dello scontro che devono leggersi gravi fatti di violenza come l’aggressione del 18 ottobre scorso a Tataouine del dirigente locale di Nidaa Tounes, morto poi in ospedale per i colpi ricevuti, l’assalto del 4 dicembre alla sede dell’Ugtt, la grande centrale sindacale che aveva sostenuto lo sciopero di Siliana, e i ripetuti attacchi a meeting politici o a sedi di forze dell’opposizione. La responsabilità diretta di questi atti ricade su gruppi di militanti delle Leghe di Protezione della Rivoluzione, che rappresentano la parte più radicale del partito islamista.

E’ infatti necessario osservare che all’interno di Nahda esistono conflitti e linee divergenti, schematicamente rappresentate da un’ala filo-wahabita, vicina alla corrente salafita e capeggiata da Rachid Ghannouchi, e un’area più moderata, disposta al compromesso e cosciente della realtà tunisina, guidata dall’attuale capo del governo, Hamadi Jebali. Con l’attentato terrorista a Chokri Belaid, il conflitto tra queste due posizioni, occultato finora dalla rigida disciplina di partito, sta emergendo alla luce del giorno. Che sia così lo dimostra la proposta di Jebali di creare un governo tecnico che conduca il più rapidamente possibile a nuove elezioni, annunciata la sera stessa dell’attentato, e immediatamente rifiutata dalla direzione del suo stesso partito.

Dei negoziati per un rimpasto nel governo esistono in realtà da circa tre mesi, ma sono sempre falliti a causa del rifiuto da parte di Nahda di rinunciare ai ministeri chiave e questo ha condotto il paese a una certa paralisi istituzionale, aggravata dai ritardi nella scrittura della nuova costituzione. Nahda ha sicuramente delle responsabilità in tutto ciò ed è responsabile di non aver voluto isolare l’aggressività dell’area salafita e radicale che ha potuto agire pressoché indisturbata. E’ però difficile ritenere, come in molti sostengono, che sia il mandante diretto dell’attentato terrorista contro Chokri Belaid. Ad agire è stato un commando di professionisti, che hanno deciso di colpire la sinistra e non la parte politica che in questo momento è la più avvantaggiata nel contendere a Nahda il controllo dello Stato. Se la domanda sul “chi“, come spesso avviene in questi casi, probabilmente non troverà mai risposte, è però possibile chiedersi chi può trarre profitto da un simile crimine. A pagarne il prezzo politico più alto è sicuramente Nahda, che già notevolmente indebolita in termini di consensi, perde ancora più legittimità, mentre a guadagnarci sono forze agenti nell’ombra e decise a interrompere, con tutti i mezzi, il lento e complesso processo di democratizzazione in corso.

Quel che è certo è che la morte di Chokri Belaid costituisce un punto di rottura nella situazione tunisina e di cui è ancora difficile prevedere i concreti sviluppi politici. Rifiutata la proposta di un governo tecnico avanzata dal primo ministro Jebali, resta sul tappeto l’ipotesi di un governo politico d’unità nazionale rivendicata dal Fronte Popolare e sostenuta anche dal presidente della Repubblica Moncef Marzouki. C’è invece da sperare che venga scartata l’idea di dissolvere l’Assemblea Costituente e di delegare la scrittura della costituzione a un’equipe d’esperti, come vorrebbe Essebsi e la sua coalizione, perché questo significherebbe annientare il già debole assetto democratico, cedendo così ai criminali intenti destabilizzanti che hanno motivato l’attentato.

La mano negra che ha deciso la morte di Chokri Belaid sapeva di sconvolgere l’intera nazione, ma probabilmente non aveva previsto le reali dimensioni della reazione collettiva che, indipendentemente dalle condanne ufficiali di tutte le forze politiche, ha mobilitato milioni di persone nelle città di tutto il paese. Nella sola capitale, al corteo funebre per i funerali tenutosi venerdì 8 febbraio, hanno partecipato, secondo dati del ministero degli interni, un milione e mezzo di persone. Ma oltre al numero, di per sé impressionante, il fatto da ricordare è che per la prima volta nella storia della Tunisia, e forse del mondo arabo, alla sepoltura all’interno del cimitero hanno partecipato anche le donne, trasgredendo così un grande tabù della religione musulmana.

La reazione di massa contro l’assassinio politico ha dimostrato che lo spirito presente durante i giorni della rivoluzione è ancora vivo e che difficilmente potranno vincere i tentativi destabilizzanti di chi spera poter restaurare il vecchio regime o ancor meno, se fosse il caso, una dittatura islamica.

Paradossalmente, uccidendo Chokri Belaid e colpendo una delle voci che con più forza chiedeva concreta democrazia e giustizia sociale, il Fronte Popolare ha moltiplicato la propria forza e autorevolezza. C’è da augurarsi che la sua morte serva per una partecipazione attiva del Fronte al processo politico, che servirebbe sia ad allargare il consenso sociale sia a rompere quella logica d’opposizione binaria tra Nahda e Nidaa Tounes che in questi mesi ha avvelenato la vita del paese.

 

 

 

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